Sindoni minori

SINDONI

Tralasciamo volutamente della Sacra Sindone di Torino, di cui si detto di tutto e di più, invece proviamo a trattare di quelle Sindoni minori di cui è pieno il mondo cattolico. Il
termine sindone deriva dal greco “sindon” che indica un tessuto di lino di buona qualità, che in seguito è diventato sinonimo del lenzuolo funebre di Gesù. Qui proveremo a trattare il Volto Santo di Manoppello, il Sudario di Oviedo, la Sindone di Mandylion, la Sindone di Genova e la Sindone di
Arquata del Tronto, che sono meno famose della Sacra Sindone di Torino.

LA SINDONE DI ARQUATA DEL TRONTO
È una fotocopia esatta della Sacra Sindone di Torino: è ancora un mistero come è stata realizzata la riproduzione. In una pergamena datata 1 maggio del 1655, redatta ad Alba, firmata
dal cancelliere vescovile e notaio Guglielmo Sanzia e dal vescovo e conte di Alba Paolo Brizio e da una commisione appositamente convocata, voluta dal vescovo Giovanni Paolo Bucciarelli, segretario del cardinale Federico Borromeo (quello dei Promessi Sposi), attestarono che era una copia della Sacra Sindone di Torino e nel lenzuolo c’è espressamente scritto tra viso e nuca in stampatello “EXTRACTUM ABORIGINALI”. È stato conservata per secoli nella chiesa di S. Francesco e non si sa perché ne sia stata fatta una copia esatta di quella Torino. Forse per fare una copia ecclesiastica di una tanto preziosa reliquia, da conservare in posto periferico, riservato e sicuro, visto che la Sacra Sindone di Torino è proprietà dei Savoia. O forse per
preservarla da eventuali danneggiamenti o incendi, come accadde nel 1997 che era andata a fuoco la Cappella del Guarini, dove era custodita la Sacra Sindone, e fu salvata dal pronto intervento dei vigili del fuoco. I frati francescani custodirono gelosamente per secoli quella reliquia, sconosciuta per molto tempo al clero locale, e la Sindone è un telo di lino tessuto con una trama e un ordito molto particolare.

IL SACRO VOLTO DI MANOPPELLO
È costituito da un fazzoletto di bisso, trasparente con una immagine con gli occhi aperti e con lo sguardo sereno, quasi con un accenno di sorriso. La storia ci tramanda che una donna
pietosa (Veronica in latino e in greco Berenike), asciugasse il volto di Gesù mentre saliva sul Golgota. Sembra che la donna andasse a Roma e che un funzionario romano di nome Velusiano le sottrasse violentemente la reliquia, che lo portò all’imperatore Tiberio, appena guardò l’immagine di Gesù, guarì dalla lebbra. La donna alla fine ritornò in possesso della reliquia e, prima di morire, lo cosegnò al papa S. Clemente. Un’altra fonte dice che tra il 705 e il 708 sia
giunto Roma e consegnato al papa di allora per essere custodito adeguatamente nel mondo cristiano. Sotto il papato di Urbano VIII (Maffeo Barberini), in occasione del
completamento della Basilica di S. Pietro, nel 1646, si accorsero che quella preziosa reliquia era scomparsa, dopo 450 anni di custodia. In un documento del 1640 è scritto che
giunse a Manoppello (Pescara) verso il 1506 e un certo Giacomo Lionelli lo ebbe in dono da uno sconosciuto con l’impegno di conservarlo con cura. Una discendente del Lionelli lo dette in
cambio per liberare dalla prigione un soldato di nome Pancrazio. Nel 1648 un notao lo donò al convento dei Cappuccini che lo ritagliarono e lo misero in una cornice, dove è coservato tuttora nella loro basilica. La datazione col C 14 ne attribuisce intorno al XI secolo, comunque le
dimensioni del volto sono molto simili al volto della Sacra Sindone di Torino.

LA SINDONE DI MANDYLION
Il termine Mandylion deriva dal termine arabo “mandil” che significa telo o lenzuolo, pertanto il suo sgnificato traslato diventa lenzuolo funebre. La sindone di Mandylion è andata
perduta da oltre 800 anni, ma la sua storia è davvero singolare.
Ci racconta Eusebio di Cesarea nella sua “Storia Ecclesiastica” che Abigar V il Nero (Ukkama 13-50 d C.), sovrano di Edessa (attuale Urfa in Turchia), scrisse a Gesù implorandolo di guarirlo dalla lebbra e dalla gotta e tramite il suo achivista Hannan, ottimo ritrattista, di portare la lettera e di fargli un ritratto. Hannan lo trovò e non riuscì a fargli un ritratto perché lo sguardo di Gesù emana uno spledore troppo intenso, da impedire ogni possibilità di fargli un qualsiasi ritratto. Gesù gli rispose con una ulteriore lettera dicendogli che non poteva venire ad Edessa, ma gli avrebbe mandato un suo discepolo di nome Taddeo, e chiese dell”acqua per lavarsi il viso e un telo per asciugarsi. Considerando la difficoltà dell’archivista di fargli un ritratto, gli dette il telo dove era rimasta l’immagine del suo volto. Abgar, visto il ritratto di Gesù,
subito guarisce dai suoi mali e dopo la morte di Gesù e la sua ascensione, arrivò ad Edessa l’apostolo Taddeo che convertì Abgar e il suo popolo. Il nipote di Abgar, una volta diventato
sovrano di Edessa, ritornò al paganesimo distruggendo tutte le icone cristiane e il vescovo di quella città, avvertito in sogno da un angelo, mise in salvo il Mandylion occultandolo in
una ceramica mettendogli davanti una lampada accesa. Stette occultato in quella ceramica per secoli, ma quando Chorsoes I, re di Persia, cinse di assedio Edessa (544 o 545) per
saccheggiarla come aveva fatto con le altre città. Quando al vescovo della città Eulalio venne un rivelazione dove era il Mandylion, e la portò in processione per la città. Chorsoes
improvvisamente tolse l’assedio ad Edessa e subì una grave disfatta e gli imperatori bizantini cercarono di immposersarsi di quella preziosa reliquia; finalmente gli imperatori
bizantini Costantino Porfirogenito e Romano I Locapeno riuscirono ad impossersarene dopo una lunga ed estenuante trattattativa in cambio di 200 prigionieri saraceni,12.000 denari d’argento e la promessa che l’esercito imperiale bizantino non attaccasse Edessa e i possedimenti saraceni.

Quindi venne portata a Costantinopoli (944) la preziosa reliquia con una solenne processione e con la conquista nel 1204 e nel saccheggio conseguente della metropoli ad opera della Quarta Crociata, è stato distrutto il Mandylion, ma l’eccezionalatà della reliquia è stata ricordata ancora oggi.
Alcuni sindonologi identificano la sindone di Mandylion con la Sacra Sindone di Torino attraverso riscontri bibiografici e corrispondenze storiche. Sembrerebbe che la Sacra Sindone di Torino sarebbe ripiegata in otto e che lascia apparire solo il volto di Gesù; tra la Sacra Sindone e quella di Mandylion ci sia un breve buco storico di 150 anni. Il 16 agosto del 944 fu celebrata per la prima volta la festa religiosa della traslazione del Volto Santo a Costantinopoli riferita alla Sindone di Mandylion, un’immagine acheropita (non dipinta da mano d’uomo) e quindi la più antica e santa reliquia della cristianità.

IL SUDARIO DI OVIEDO
Ad Oviedo, antica capitale delle Asturie, fin dal VIII secolo si trova un telo di lino di 83 x 52, con macchie di sangue di gruppo AB (molto comune in Medio Oriente e raro da noi) e di liquido organico. La composizione del lino è uguale a quella
della Sacra Sindone di Torino, eccetto per la trama che qui è ortogonale, mentre a Torino è a spina di pesce. Il sudario è conservato nella Cattedrale di San Salvatore ad Oviedo e nel sudario ci sono alcune tracce di aloe e di mirra, oltre ad alla contaminazione di alcuni pollini. La storia di quel sudario si ritrova nel “liber testamentorium” di Pelagio che è stato vescovo di Oviedo dal 1101 al 1130. Egli riferisce che proviene dal sepolcro di Gesù e che durante l’invasone persiana di Chorsoes II nel 614, un monaco di nome Filippo lo
porta ad Alessandria d’Egitto in una arca di legno di cedro e poi nella penisola iberica, csegnandolo a Fulgenzio, vescovo di Ecija, che lo diede a suo fratello Leandro, vescovo di Siviglia. Il suo successore Isidoro, anche lui fratello dib Leandro, lo diede al suo discepolo Ildebrando che poi divenne vescovo di Toledo nel 657 e in seguito all’invasione dei saraceni in Spagna nel 711, giunge ad Oviedo. Ma un’altra fonte più attendibile la pone in un eremitaggio del Monsacro a 10 chilometri da Oviedo; poi nel 840 il re delle Asturie Alfonso II il Casto (791-832) lo porta a Oviedo e lo pone nella “càmara santa” del suo palazzo (poi diventato lacattredrale gotica di San Salvantore costruita nel XIVsecolo). Il primo inventari dell’arca avvenne nei primi annidel XI secolo e in un documento datato 14 marzo del 1075,conservato nell’archivio della Cattedrale di Oviedo, attestauna ricognizione dell’arca alla presenza del re di Castiglia e al re Leòn Alfonso VI (1065-1109), di sua sorella e di ElCid, leggendario condottoriero, che poi Alfonso VI decide difare un rivestimento d’argento dell’arca, realizzata nel 1113,dopo la sua morte.

LA SINDONE DI GENOVA
Sembrebbe che quella di Genova sia la sindone di Edessa ed ècustodita la tavola di cedro con incollata la sacra immaginenella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni. È stata portatain dono a Genova dal capitano Leonardo Montaldo, poi diventatoDoge di Genova, per l’aiuto dato a Costantinopoli nella guerra contro i saraceni dall’imperatore Giovanni V Paleologo (1362).È stata custodita segretamente nella casa di Leonardo Montaldoe, solo in punto di morte, è stata donata alla città. Sulrione Castelletto è stato costruito un monastero di monacibasiliani armeni (1308), monaci fuggiti dall’Armenia dallepersecuzioni dei saraceni. Nel 1507 è stato rubato etrasferito in Francia, ma un’ambasceria di nobili genovesi è riuiscita a convincere il re Luigi XII a restituirla (1509).n seguito è stata posta in una cassaforte di argento consette chiavi custodite da sette persone, scelte tra le piùpie ed affidabili. Nel 1650 il papa Innocenzo X ha soppressol’ordine dei monaci basiliani ed ha affidato la loro chiesa aipadri bernabiti e, durante l’occupazione napoleonica, persottrarlo al saccheggio delle chiese, è stato nascosto in caseprivate. Il Sacro Mandillo (che nel dialetto genovesesignifica fazzoletto) è conservato in una cornice d’argentodorato di fattura bizantina e i genovesi sono sicuri che haprotetto Genova dalle calamità nei secoli passati e anche peril futuro.
Tralasciamo di trattare il Sudario di Camulia e il VoltoSanto di Roma perché sono icone cristiane già trattate, ma traleggende e fatti storici si sono documentate la incredibilestoria di queste sindoni minori e la fede in queste in questeicone cristiane continua attraverso i secoli e senza cedimenti. Per la datazione col Carbonio 14 di questi repertisono non attendibili perché il fumo degli incendi e il fumodelle candele inficiano i risultati. In pratica alterano i risultati della datatazione con il C 14 perché questo fumoaumenta la concentrazione e quindi lo fanno più recente delvalore reale. La datazione del Sudario di Oviedo con il C 14risulta tra il 1260 e il 1390, quando siamo certi che era giàpresente nel 1075. Lo stesso inventore del metodo delladatazione col C 14, Willard Frank Libby, aveva in precedenzaammesso che sul telo di lino non è attendibile. Del resto anche le bende di lino di una mummia conservata a Menchesterla datazione col C 14 l’ha resa più giovane di 1000 anni e iresti dell’Uomo di Lindow in tre sperimentazioni col C 14hanno dato tre valori totalmente diversi.

LA LEGGENDA DELLA SIBILLA APPENNINICA
La Sibilla Appenninica o Sibilla Picena o Sibilla di Norcia, oNorsia, o Nortia o Norzia era un misto di preveggente,profetessa e maga, oltre che fare da intermediario tra ilvolere degli Dei e gli uomini, vieniva chiamata Regina del
mondo sotterraneo, animato da fanciulle leggiadre, ma conpiedi caprinio, e inestimabili tesori e che ogni finesettimana le fanciulle si trasformavano serpenti.L’origine del nome Sibilla era molto controverso e nonunivoco; la più autorevole era quella latina che prendeorigine dalla radice onomatopeica “sib sif” da cui derivavasibilus: il soffio del vento, la voce misteriosa che esciva dauna cavità o il verso del serpente.Il nome Appennino derivava dal termine celtico “Pen” chesignificava altura e la Sibilla risiedeva secondo la leggendae la tradizione popolare in una grotta sulla sommità del monteSibilla (2173 metri) che faceva parte della catena deiSibillini e che Giacomo Leopardi chimava monti azzurri.La Sibilla offrì al re di Roma Tarquinio (non si sa se fossePrisco o il Superbo) i nove libri Sibillini, scritti in grecoarcaico, e Tarquinio ne acquistò solo tre, conservati neltempio di Giove Capitolino e consultati in caso di emergenzadello Stato da 15 uomini eletti.Questi libri andarono distrutti da un incendio e furonoriscritti diverse volte, tanto che un libro non originale èstato conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi.Sembra che fosse la Sibilla Appenninica quella a cui Enea sirivolse nel libro VI dell’Eneide di Virgilio perché la SibillaCumana il cui edificio-antro risale 3-4 secolo a. C. nonesisteva ancora e il culto della Sibilla Appenninica erapresistente. Per la prima volta il termine Sibilla era usato da Eraclito(VI secolo a. C.) e un riferimento storico della Sibilla sitrovava nella “Vita dei Cesari” di Svetonio che riferisce ilconsole Vitellio, reduce della vittoria, si trattenne per unaveglia sacra sugli Appennini prima del suo rientro a Roma nel69 a. C.Anche Trebellio Pollione nella sua “Historiae Augustae” (330d. C.) riferiva che Claudio II il Gotico si era recato nel 268dalla Sibilla per avere un responso sul suo futuro, forse gliaveva previsto la sua morte avvenuta nel 271.Ambientato nel 824 il romanzo mediovale di “Gurrin Meschino”di Andrea da Barberino (1370-1431), scritto nei primi anni delQuattrocento, raccontava che un giovane cavaliere orfano evenduto come schiavo che si recò dalla Sibilla per scoprirechi sono i suoi veri genitori.La Sibilla cercava di irretirlo con le sue lusinghe e ilcavaliere resisttete alla sua seduzione e rimase in quel postoper un anno per sapere la risposta.Dallo scritto di Andrea da Barberino, Richard Wagner musicòl’opera lirica Tannhauser che era un cavaliere tedesco ecantore che entrò nel regno sotterraneo di Venere (Venuberg):al contrario del Guerrin Meschino, il cavaliere tedescoacconsentì alle profferte amorose di Venere.Tanto era la fama della Sibilla nel Rinascimento, che ilfrancese Antoine de La Sale fu mandato dalla duchessa Agnesedi Bourbon-Borgogne sul monte Sibilla per visitare la suagrotta il 18 maggio del 1420 e da quella visita scrisse il”Paradiso della Regina Sibilla”, conservato nella BibliotecaNazionale di Parigi, in cui descrisse minuzioasamentel’ingresso della grotta, perché gli fu impossibile andareoltre a causa di una frana causata da un devastante terremotodel 1328.Nelle terre della Sibilla trovarono rifugio, oltre ainegromanti e alchimisti, anche la setta eretica dei Catari,dei Patareni e degli Spirituali per sfuggire allepersecuzioni della Chiesa.Anche il cavaliere tedesco Her Hans Van Bamborg nel 1338 passòsul monte Sibilla, come riferiva Antoine De la Sale nel suodiario di viaggio.In una pergamena, datata 1452, conservata nell’ArchivioStorico del comune di Montemonaco si rilevava che sulla grottadella Sibilla e sul lago di Pilato veniva frequentato deicavalieri da tutta Europa per praticare l’alchimia econsacrare i loro libri magici.Rientrava nell’itinerario magico e animistico di quei postianche il lago di Pilato, che secondo la leggenda ilgovernatore della Palestina fu condannato a mortedall’imperatore Vespasiano e fu posto in carro trainato da duebufali si precipitò proprio in quel lago.Secondo l’immaginario popolare, le giovani fanciulle dellacorte della Sibilla, chiamate anche fate, amavano esibirsi indanze con i giovani pastori nelle notti di plenilunio e,sempre nella tradizione popolare di quei posti, avrebberoinventato il “saltarello”,la danza popolare del sud delle Marche.Chiunque poteva entrare nel regno della Sibilla, ma potevatrattenersi solo o otto o trenta o trecentotrenta giorni pertornare alla vita terrena, se non usciva, rimaneva nel regnodella Sibilla fino alla fine del mondo, reso immortale con learti magiche di quel posto.Un’altra peculiare caratteristica del regno della Sibilla erache si poteva imparare tutte le lingue del mondo in novegiorni: questo presupponeva che in quel posto venivafrequentato da molte persone del mondo allora conosciuto.Nella credenza popolare il regno della Sibilla c’erano deimagnifici palazzi, degli splendidi giardini sotterranei delle leggiadre fanciulle che erano molto cortesi con ivisitatori e assecondavano ogni loro volere.Sembra che il culto della Sibilla era molto antico, primadell’epoca romana, forse legata al mondo dei Druidi e deiCelti che erano arrivati in quei luoghi, o al culto greco diCibele e della Grande Dea Madre della Natura (Tavole Eugubine1000 a. C.) che aveva anche un aspetto animistico.Di certo il culto della Dea Madre era molto diffuso in Umbria,negli Appenini e nel Triveneto con somiglianze evidenti con laSibilla e le leggende delle Fate del Nord Est; tale Dea Madreera chiamata Cupra dagli Umbri o Angizia in Abruzzo (DeaSerpente, dal termine latino “anguis”, cioé serpente) e Venereper romani, tutte guaritrici e maghe come la Sibilla.

La ricerca storica di Fernand Desonay stabilì che la fondazione di Norcia avvenne nel 1497 a. C. e che c’era unacerta interdipendenza tra il culto della Sibilla e il cultodella Dea Nortia o Fortuna e lo storico Domenico Falzetti
stabilì che il culto della Sibilla risalì a circa al 3000 a.C. in corrispondenza con l’insediamento delle popolazioniprimitive in quei posti.Nel Cristianesimo, il culto della Sibilla era demoniaco,seducente e perfido, mentre per le popolazioni locali era unamaga benefica e utile, in quanto le sue fanciulle insegnavanoalle giovani del posto a tessere e a filare.Alla Sibilla Appenninica fu attribuito il famoso oracolo”IBIS, REDIBIS NON MORIETUR IN BELLO” , in cui, spostando lavirgola, si aveva un responso completamente opposto.Negli anni Venti del secolo scorso per allargare l’ingressodella grotta della Sibilla si usò la dinamite che lo fececrollare completamente.Con il georadar recentemente si erano ritrovate dellegallerie e delle sale sotterranee: quindi la grotta dellaSibilla esisteva veramente.!!

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R.:L.: Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. È lo spirito che la anima.

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R.·.L.·. RESURREZIONE 144