
SIMBOLI E SEGNI NELL’ ALTA VAL NERINA ,
DAL MEDIOEVO AD OGGI
Se vedi cio’ che la luce rivela
e odi solo cio’ che il suono annuncia , in realta,’
non vedi e non senti.
Gibran.
Alcuni anni fa’ Simonetta Torresi scrisse un libro dedicato a Castel Sant’ Angelo sul Nera ,“una realta’ nell’ Italia dei Comuni”. Il volume riporta in copertina il motto
“In omnibus finem” che ricorre nelle iscrizioni di portali e finestre dei palazzi gentilizi,con le varianti “respice finem” e“in omnibus moderatus”. Lo stemma di casa Ettorri ,dimora del feudatario del Monte Efra ,rivolge ai passanti un monito che non ha perso la sua incisivita’ con il tempo:e’ bene che l’ uomo guardi alla sostanza delle cose , trascuri le apparenze , persegua lo scopo della vita anche nei gesti semplici e nelle consuetudini quotidiane .
Le parole affidate alla pietra contengono segni e simboli che sfuggono ai profani. Nel medioevo architetti ,scultori , scalpellini costruirono e decorarono gli edifici del Castello e delle Ville della Guaita Montanea .Artisti famosi ,artigiani anonimi , capomastri , operai, individui creativi e persone umili operarono in armonia per la realizzazione di un progetto che non si e’ dissolto con il trascorrere degli anni. Uomini vissuti secoli fa’ trasformarono con fatica la pietra grezza in opera compiuta , impressero sulle mura del castello e nascosero nel loro disegno messaggi destinati a chi non si ferma alla superficie della realta’.
La facciata di chiese , edifici pubblici e privati ,il profilo triangolare delle mura del Castello ,gli stemmi ,le decorazioni contengono implicazioni che superano i risvolti concreti delle arti e dei mestieri . I versi di Gibran con cui ho aperto la Tavola sottolineano l’ importanza di non limitarsi alle sensazioni e alle emozioni.
L‘Alta Valle del Nera trova in Castel Sant’ Angelo la sua sintesi storica , artistica e paesaggistica ideale .Castello ,come lo chiamano gli abitanti, e’ ricco di opere d’ arte e scorci architettonici che i profani apprezzano in modo epidermico .Il testo della Torresi e’ un invito ad approfondire lo studio di questo luogo discreto , silenzioso e appartato,protetto dai Sibillini che incorniciano le sue valli . L’appartenenza all’ Umbria di Castello e delle “ville”della Guaita Montanea deriva dalle tradizioni , dalla storia locale e da connotazioni antropologiche ,linguistiche, geografiche legate al versante tirrenico degli Appennini .Gli aspetti formali e amministrativi hanno per noi una rilevanza marginale . Fino a pochi anni fa’ i Castellani che si accingevano a superare il passo delle Fornaci usavano l’ espressione : “ vado nelle Marche “.
Il valico congiunge le due regioni in prossimita’ dell’ altopiano di
Macereto , nella “Guaita Pagese “,che nel Medioevo includeva Aschio ,Cupi e Appennino.
L’ annessione del territorio vissano alla provincia di Macerata, voluta dal governo nella seconda meta’ dell’ 800 , accentuo’ col trascorrere del tempo e con l’ intensificarsi dei contatti la contiguita’ economica , politico-amministrativa e culturale con le Marche.
In precedenza Visso e le zone vicine orbitavano nell’ area di influenza di Perugia.
I paesi che il massiccio di Cardosa e la valle di Rapegna dividono dalla Valle Castoriana e dalla piana di Norcia hanno conservato aspetti tipici della regione confinante e del loro passato . La tendenza dei Castellani dei Vissani e degli Ussitani a gravitare su Roma e sull’ alto Lazio si spiega anche con la tradizione della transumanza ,con l’ appartenenza al ducato di Spoleto ,con l’ influenza della cultura longobarda e franca,con i rapporti con Norcia che ,per quanto conflittuali, segnarono profondamente i primi passi compiuti dalle comunita’ montane nel medioevo,periodo in cui Castello assurse al rango di capoluogo della Guaita Montanea .Non va dimenticata l’ appartenenza dell’ area di cui parliamo allo stato pontificio. Un
ussitano ,il cardinal Gasparri ,fu artefice del concordato tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica nel 1929. Non mi soffermo su questo passaggio controverso della nostra storia per ragioni di tempo e per la complessita’ dell’ argomento . Torno a Castel Sant’ Angelo ,crocevia di culture e tradizioni .
I luoghi “di confine” ricavano ricchezza , motivi di sviluppo e di crescita dal confronto con gli altri . Dall’ integrazione reciproca, che non implica la rinuncia alla propria identita’, puo’scaturire e maturare una societa’ articolata e varia ,diversamente da quanto accade alle comunita’ isolate e rigidamente ancorate al passato. Gli abitanti delle zone di confine ,dialogando con culture e tradizioni diverse possono dimostrare,se lo vogliono ,tolleranza ,lungimiranza e intelligenza .
L’ articolazione complessa dell’ ambiente di cui siamo parte non consente la sopravvivenza degli individui soli e delle colletivita’ inclini a ripiegarsi su se stesse e sul mondo di ieri. La debolezza dell’ economia e della cultura dell’ entroterra marchigiano nelle zone confinanti con L’ Umbria meridionale e con il Lazio ,e’ un punto di forza misconosciuto . Ancora non sono state colte ne’ orientate come meritano le implicazioni turistiche ed economiche derivanti da un patrimonio artistico e naturale di alto livello . Questa limitazione ,condivisa con altre regioni italiane,scaturisce dall’assenza del know how necessario:il confronto con la Toscana testimonia il ritardo delle Marche nella valorizzazione dei suoi luoghi piu’ suggestivi ,ricchi di storia e d ‘arte .L’ incapacita’ di seguire ,modificandolo a proprio beneficio ,il fluire del tempo e i suoi mutamenti ha esercitato sinora nella recessione delle zone montane un ruolo negativo. Su questa debolezza del sistema si e’ innestata una gestione delle realta’ locali e del Parco dei Sibillini che sarebbe generoso definire insoddisfacente.
Il processo di “omologazione” di cui Pasolini analizzo’ la dinamica e denuncio’ i rischi negli “Scritti corsari” ha svolto un ruolo importante nella perdita di identita’ e nell’ inadeguatezza di cui parlo. Le note dello scrittore assumono ,a quarant’ anni dalla pubblicazione ,sfumature profetiche.
L’ ambiente contadino e quello delle montagne erano ricchi di tradizioni e di una specificita’ che li rendeva unici.
Purtroppo ,dagli anni settanta in poi hanno subito un processo di involuzione e di impoverimento culturale inversamente proporzionale al progredire della tecnologia. Le sue ricadute pratiche ,percepite dagli abitanti e dai turisti come un vantaggio e un segno di progresso, si sono trasformate in un limite .
La tecnologia ha rivoluzionato la vita dei contadini e dei montanari, un tempo connotata da stenti ,fame e miseria e l’ ha resa vivibile , agiata ,ma il benessere si e’ fermato sulla soglia dei benefici materiali.
Per quanto concerne l’identita’ e la cultura delle comunita’ montane e delle valli umbro-marchigiane vale il principio opposto.
Progresso e sviluppo percorrono vie diverse ,col passare del tempo divergono, si perdono di vista .La discrasia tra sviluppo della tecnologia e conservazione della propria identita’, evoluzione della civilta’ e della cultura ha contaminato il mondo di cui parliamo . Nonostante queste considerazioni Castello e le sue “ville”ricordano il titolo di un racconto di Musil,” La Valle incantata “ .
La cinta muraria di Castel Sant’ Angelo ha subito un restauro recente che ne mette in rilievo l’ impianto triangolare .Gli angoli sono contrassegnati dalle porte che esplicavano nel medioevo un ruolo fondamentale nella sorveglianza dell’ accesso al castello e nella sua difesa .Le piu’ belle sono Porta Sant’ Angelo e Porta Nocrina, .La prima e’ caratterizzata da uno stemma longobardo con l’ effige dell’Arcangelo Michele che da’ il nome alla fortificazione costruita sul monte Efra .
Le radici ebraiche della denominazione attribuita al monte sono chiare :la parola Efra o Ephrata e’ legata all’ insediamento degli Israeliti deportati in Valnerina dai legionari di Tito dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme ,avvenuta nel 70 d.C.
“Efrata “( o Ephrata ) era l’ antico nome di Bethlehem .La Torresi ricorda questo dato con una citazione tratta dal“ Natale “,uno degli Inni sacri di
Manzoni, :
“ Oggi Egli e’ nato : ad Efrata ,vaticinato ostello …..”
e riconduce i versi di Manzoni all’ Antico Testamento ( Michea ,V,2): “Et tu ,Bethlehem Ephrata ,parvulus es in millibus Iuda ; ex te mihi
egredietur qui sit dominator in Israel et egressus eius ab inizio ,a diebus aeternitatis “.
Approfondendo la lettura si apprende che l’ etimo Efra era legato ,nell’ antica Palestina , ad un confine dell’ area destinata alla tribu’ di Giuda ,dove esiste
un monte Efron ( Gesue’ ,XV,9) .Efraim era una regione contigua al territorio delle tribu’ di Giuda e di Beniamino ( Giudici VIII,1).
Completo il quadro richiamando la vostra attenzione sull’origine del nome del fiume Nera ,principale affluente del Tevere, che risalirebbe all’etimo cananeo “ner” , che significa solco.
L’ ipotesi e’ suggestiva .L’ accostamento di questa etimologia a quella del
nome del monte Efra confermerebbe il ruolo svolto nello sviluppo delle comunita’ locali dalla deportazione degli Ebrei .
Non si possono escludere, sottolinea l’ Autrice , precedenti ma improbabili ondate migratorie dalla stessa area del Mediterraneo.
Anticamente la Val Nerina era abitata dalle tribu’ dei Naharkj, alleate di Turno contro Enea , secondo la storia latina ,l’ Eneide e le leggende locali .
I Naharkj furono oppositori irriducibili dell’ espansionismo delle genti che popolavano l’ area di Gubbio .Questo dato emerge dalla lettura delle Tavole Eugubine ,ritrovate a Cantiano e vendute al comune di Gubbio nel 1456.
Il popolo Ikuvino era costituito da dieci tribu’ , ostacolate nell’ avanzata verso sud dai Naharkj e da altre etnie della Val Nerina e delle aree vicine .
Nella I Tavola Eugubina troviamo parole che testimoniano le ritorsioni minacciate dagli Ikuvini nei confronti dei loro antagonisti:
“ Chi e’ della citta’ di Tadinate ,della tribu’ di Tadinate ,del nome Tursko, Naharko ,Japuscko,vada via da questo popolo ,se non andra’ via a questo popolo,se qualcuno e’ preso fra questo popolo, lo si porti dove e’ legge e gli si faccia cio’ che e’ legge “.
I Naharkj erano legati piu’ degli altri al fiume che da’ il nome alla valle piu’ bella dell’ Italia centrale . In epoca romana Plinio il giovane chiamo’ Nahar il fiume Nera :”Nahar sulphureis aquis”,( Epist.-Liber III , Cap 12).
Non fu il solo .Virgilio chiama Nar il fiume quando ricorda , nell’ Eneide , il popolo della Val Nerina alleato di Turno contro Enea . Silio Italico e Lucano chiamarono nello stesso modo il corso d’acqua ,in “Punica” (VIII) e “Pharsalia” .
La regione che va dalla piana di Terni al contrafforte dei” monti azzurri “sarebbe stata influenzata dal V secolo d.C. dalla nascita e dallo sviluppo dell’ Ordine Benedettino ,cui accennai nella tavola dedicata a Sant’ Eutizio e alla Scuola Chirurgica di Preci.
In passato il lavoro era stato solo sinonimo di avvilimento e prostrazione , appannaggio degli schiavi ,prerogativa delle popolazioni sottomesse .Lo e’ ancora, in ampi strati della societa’ occidentale e in aree molto estese del pianeta . Il lavoro, secondo San Benedetto non e’ piu’ schiavitu’ ma sublimazione dell’ uomo ,realizzazione di se’ e del progetto divino. Il lavoro e la preghiera sono per Benedetto la via la redenzione e l’ illuminazione . Ho letto la sua Regola e mi ha colpito per la modernita’ e la forza rivoluzionaria delle idee che la animano .Da laico ne apprezzo il profilo etico elevato ,l’ attualita’ , la lungimiranza.
Del lavoro Benedetto dice che “ va svolto con solerzia e serenita’ ,secondo orari stabiliti e mai con frenesia perche’ questa porta all’ abbrutimento . Ne’ l’ eventuale capacita’ e competenza devono essere motivo di orgoglio e vanagloria che , oltre a deviare dalla retta via chi li prova portano ad umiliare quanti meno capaci ; il benedettino inoltre ,pur non essendo avido, neanche deve essere eccessivamente prodigo ,non deve raggirare ne’ farsi raggirare “. (testo citato ,pag 27).
Riflettete sui ritmi frenetici del lavoro che molti di noi affrontano e svolgono con ansia e concitazione ,perdendo il senso di cio’ che fanno .
Si sfibrano con orari interminabili ed escono dall’ ambiente professionale stanchi,irritati,privi della serenita’ e dell’ equilibrio ai quali Benedetto richiama i suoi discepoli .
Una riflessione su questo tema gioverebbe all’ uomo contemporaneo .Credo che sia evitabile il processo di involuzione che ci vede sempre meno pacati e riflessivi , incapaci di gestire con misura , sobrieta’ ed altruismo la vita quotidiana .
Nel Capitolo XLVIII della Regola ,dedicato al lavoro manuale quotidiano ,leggiamo che
” L’ ozio e’ nemico dell’ anima . Percio’ i fratelli ,in tempi stabiliti ,devono attendere al lavoro manuale ;in altre ore ,…………,alla sacra Lettura .E pensino di ripartire bene il tempo tra l’ una e l’ altra cosa ……….E se la necessita’ del luogo o la poverta’ li costringe a badare essi stessi ai raccolti ,non se ne contristino; perche’ sono veri monaci quando appunto vivono col lavoro delle loro mani come i nostri Padri e gli Apostoli. Ma si faccia tutto con moderazione per riguardo ai piu’ deboli…..”.
Nel Capitolo LVII dedicato agli artigiani ,citato dalla Torresi , leggiamo: “Se nel Monastero ci saranno degli artigiani ,esercitino la loro arte con
La regola di San Benedetto ,riassunta dall’ espressione “ ora et labora “ introdusse nel mondo occidentale un nuovo modo di pensare : la Torresi sottolinea che “ la rivoluzione benedettina mette il lavoro al centro stesso della dignita’ dell’ uomo”.
grande umilta’ sempre che lo permetta l’ Abate .E se qualcuno di essi si levera’ in superbia a motivo dell’ utile che sembra recare al Monastero con l’ arte che possiede , questo tale sia tolto dal suo lavoro e non lo riprenda se l’ Abate non glielo permettera’ di nuovo dopo che si sara’ umiliato……Nei prezzi poi non si insinui il vizio dell’ avarizia ,anzi sempre si chieda meno di quel che chiedono i secolari,perche’ in tutto sia glorificato Dio.”.
Torno alla prima Tavola che scolpii per la nostra Officina e riprendo un concetto espresso con chiarezza da Simonetta Torresi .La regola Benedettina infuenzo’ il territorio in cui nacque , prese piede tra le comunita’ monastiche e tra i laici . Ma e’ vero anche il contrario .I luoghi che videro nascere ,crescere ed irradiarsi i principi di Benedetto esercitarono un ‘influenza determinate sulla sua formazione e sulla maturazione delle sue intuizioni innovative. Castel S. Angelo , piu’ di Norcia , visse nell’ atmosfera al limite tra storia e leggenda che circonda l’ antro della Sibilla .Si narra che Benedetto , dopo essersi avventurato nella grotta abbia maturato gli stimoli per la redazione della Regola dell’ Ordine che intendeva fondare .
Chi vuole puo’ approfondire i riferimenti storico-letterari leggendo alcuni brani dell’
” Italia liberata dai Goti” del Trissino che dedica un capitolo ( XXIV) alla Sibilla appenninica .
L’ autore parla del viaggio e del ritorno di Benedetto dall’ antro della Maga Alcina . Non ci interessa sapere se si tratti di fantasie o di cronache arricchite dall’ immaginazione e dalla creativita’ degli scrittori che si occuparono dell’ argomento :lo fecero in un periodo che non facilitava la distinzione tra cronaca e diceria , leggenda e storia , religione ,scienza e superstizione .
Fermiamo la nostra attenzione sull’atmosfera delle valli e delle montagne umbro-marchigiane che favori’ la genesi di tesi e interpretazioni della storia destinate a valicare il loro confine geografico.
In questa prospettiva merita una menzione il culto di San Martino .
La chiesa di Gualdo ,“villa” della Guaita Montanea determinante sul piano strategico in quanto confinante con il territorio di Norcia ,e’ dedicata a questo santo caro alla tradizione e alla cultura dei Franchi .La stessa denominazione fu attribuita alla parrocchia dei Gualdesi all’ interno delle mura castellane . Gli abitanti delle “ville “ nel periodo invernale e quando erano minacciati dalle milizie avverse ai feudatari del monte Efra o al Comune di Visso trovavano rifugio nei “ casarini “,all’ interno del castello. La chiesa di San Martino e’ la piu’ bella della rocca .E’ ricca di affreschi attribuiti a Paolo da Visso e alla scuola Mevalese .Sconsacrata ,chiusa al pubblico ,necessita di restauri urgenti , improrogabili. E’ uno dei numerosi tesori in decadenza del patrimonio artistico italiano ,il piu’ ricco del mondo,ma,lo dico con amarezza ,conservato malissimo e trascurato. Non possiamo datare con esattezza la diffusione del culto di San Martino nelle valli dell’ alto Nera ne’ il momento in cui raggiunse Gualdo,il cui nome trae origine dal termine longobardo “ wald “,bosco.
La presenza del Santo in numerosi affreschi e in chiese diverse (Benedetto gli dedico’ un oratorio di Montecassino),si deve anche alla fama di cui gode’ dopo la conversione di Clodoveo e soprattutto al ruolo che svolse come “defensor fidei ” contro i Goti, che aderivano al credo di Ario.
I Franchi,convertiti al cristianesimo romano combattevano i Goti .Carlo Magno ritenne che l’ Ordine fondato da Benedetto fosse cosi’ importante da insediarlo nell’ Abbazia di Farfa .Questa decisione ,come dice la Torresi ,lo avrebbe innalzato al rango di ordine monastico per eccellenza del Sacro Romano Impero.
Nell’ iconografia tradizionale San Martino viene raffigurato mentre dona meta’ della clamide a un mendicante nudo ,che gli rivelera’ nel sogno la sua identita’ divina .
Giacomo da Varazze , nella” Leggeda aurea “, descrive con parole suggestive l’ aneddoto della clamide divisa dal gladio e donata al povero . Il gladio , micidiale arma di offesa e di morte si trasforma in strumento di misericordia e di pieta’ nei confronti del povero. La leggenda risale al IV secolo dopo Cristo. E’ strano che proprio il santo cui viene attribuito un ruolo allineato con la Chiesa di Roma nella lotta contro gli Ariani,sia presente nei luoghi di confine tra Umbria e Marche che ospitarono e protessero dissidenti considerati eretici o al limite dell’ eresia come i Clareni e gli Spirituali .I due ordini si sarebbero avvicendati in Santa Maria del Castellare di Nocelleto sino alla loro scomparsa dalla zona voluta da Giovanni XXII.
Quanto ai Templari ,l’ Ordine Militare legato alla Regola di San Bernardo opero’ a lungo in Castel Sant’ Angelo : le testimonianze della sua presenza sono evidenti.
La storia dei Templari si inizio’ nel 1119 : fu loro assegnato il compito di guardiania dei luoghi sacri e quello di tutela dei viandanti e dei pellegrini diretti al Santo Sepolcro.La ricchezza dell’ ordine Templare ,dovuta all’ abilita’ con cui i monaci guerrieri istituirono e organizzarono il primo sistema bancario del medioevo e la loro potenza suscitarono l’ avidita’ e la gelosia di Filippo il Bello ,re di Francia . Questi ,con la complicita’ del papa Clemente V li fece catturare ,torturare e sterminare : non tutti finirono sul rogo : l’ Ordine sopravvisse ,anche se in clandestinita’ .
Nell’ anno che vide scomparire i principali esponenti dell’ Ordine del Tempio ,morirono anche il papa , il monarca francese e il consigliere Nogaret, mandanti ed esecutori materiali della strage .Lo aveva vaticinato Jacques De Molay, Gran Maestro dell ‘ Ordine,bruciato nottetempo sull’ Isle de la Cyte’.
L’ Alighieri dedico’ a Clemente V queste parole :
“ Fatto v’ avete Dio d’oro e d’ argento,:
e che altro e’ da voi all’ idolatrare ,
se non ch’ elli uno e voi ne orate cento ”.
(Inferno XIX ,112-114)
La Torresi sottolinea che nei versi di Dante e’ implicita la condanna della
repressione operata dalla Chiesa di Roma nei confronti delle attivita’ che potevano turbare l’influenza spirituale e il potere temporale dei papi. L’ Autrice sottolinea che al risentimento dell’ Alighieri non era estranea l’ appartenenza del poeta alla Congregazione dei Fedeli in Amore , condivisa con Jacques De Molay. Bernardo da Chiaravalle si era occupato personalmente del regolamento dell’ Ordine Templare .Aveva scritto ,intorno al 1128, nel “Liber ad Milites Templi “ :” un nuovo genere di Cavalieri e’ apparso sulla terra ,un nuovo genere di cavalieri che combatte infaticabile una lotta parallela sia contro la carne sia contro gli spiriti del male”.
L’ Ordine risenti’ della matrice celtica :concepiva la guerra come stile di vita ,come carattere distintivo e preminente degli eroi e non come prerogativa degli uomini comuni: inoltre , vedeva nell’ iniziazione la portadi accesso al mondo del sacro . Fu l’ unico ordine a beneficiare della costituzione in una sede conciliare ( Concilio di Troyes).
Il confronto che oppone l’ Islam all’Occidente e’ oggetto di polemiche e dibattiti accesi .Secoli fa’ , durante e dopo le crociate l’ Europa si giovo’ di molte conoscenze mutuate dal mondo arabo .
I Templari erano soldati spietati e temibili in battaglia per l’ abilita’ militare e per la determinazione con la quale affrontavano il nemico .Ma in tempo di pace erano finanzieri esperti ,audaci e intraprendenti,profondi conoscitori del mondo mediorientale ,diplomatici scaltri ,attenti interlocutori di civilta’ diverse, con le quali convivevano e dalle quali attingevano il meglio.
Nell’ area di Castel Sant’ Angelo la presenza dei Templari si desume dalla denominazione di luoghi dispersi nelle vallate , da reperti lapidei e architettonici e da aspetti devozionali propri dell’ Ordine . Ricordo la chiesa di San Giovanni a Macchie,sotto Passo Cattivo,le chiese di San Biagio e San Pietro a Vallinfante ,Santa Lucia in Rapegna , il Domo ,in prossimita’ di Nocelleto. La Torresi sottolinea l’ importanza delle Sante effigiate nelle chiese ,figure femminili care alla tradizione religiosa del tempo e alle comunita’ vallive :
Sant’ Agata (la bonta’), Santa Margherita ( la perla ) e soprattutto Santa Sofia( la sapienza ).
Quest’ ultima e’ legata in modo particolare ai Templari e richiama il motto di casa Ettorri. Saggezza infatti e’ guardare oltre l’orizzonte ,testimoniare ed attuare nella vita quotidiana i principi e i valori professati, dando un senso alla vita : ”in omnibus finem…..”.
Tra Nocelleto e Rapegna si trova Santa Maria de Domo ,un piccolo insediamento alle pendici di Cardosa in una zona denominata Ripa de
Domo ,nota a turisti e abitanti come fosso di Varrogna o Barrrogna . Domo sta per Domus ,casa dei Templari . Con cadenza biennale , prima di Ferragosto la statua della Vergine del Domo viene portata a spalla in processione solenne sino al Duomo di Santo Stefano ,per essere restituita dagli abitanti delle valli alla dimora abituale con altrettanta solennita’ , dopo il 15 Agosto. La tradizione non e’ andata perduta .
La Croce Templare a otto punte iscritta in un sarcofago e incisa sull’ architrave del portale di Santa Lucia in Rapegna richiama un’ altra croce della facciata laterale della Chiesa . Non lontano un complesso di edifici ha conservato le caratteristiche dell’ antico insediamento dei Cavalieri.
A Gualdo esiste la “Spina” .E’ una localita’ suggestiva ,vicina al Pian Perduto,territorio sottratto dai Castellani a Norcia nel corso di una battaglia trasformata in leggenda dal poeta pastore Berrettaccia . La Spina richiama nel toponimo la definizione ironica attribuita ai fondi donati all’ Ordine quando un “benefattore” intendeva disfarsi di qualche terreno incolto e improduttivo. Una “spina “, per l’ appunto. Questa interpretazione e’comprensibile e intuitiva anche per i profani. La faccia piu’ interessante della medaglia si trova nella chiave esoterica ,che dischiude altri scenari. La Spina rappresenta un percorso rituale destinato a concedere la conoscenza della Rosa ai Maestri ,ai Cavalieri dell’ Ordine,agli Adepti :e’ un tragitto spirituale e rituale interdetto ai profani. Spina ,intesa anche come arma di difesa della Rosa. Vi sono testimonianze linguistiche di cui Fanjio Terhart parla nel suo libro “ I Templari Guardiani del Santo Graal “.Lo scrittore sostiene che documentano la tendenza dei Templari a scegliere alcuni luoghi particolari per insediarsi e presidiare il territorio nel quale stabilivano la loro area di influenza .Le sedi principali dell’ Ordine in Francia , per esempio si trovavano nei pressi di localita’ che avevano a che fare con il nome “ epine “ ( spina , biancospino). L’ Epine , Epinay, Epinat, Pinay, Epinac , la foresta di Courbepine , …….Non mi addentro in un ambito che Fratelli piu’ esperti potrebbero illustrare con maggiore competenza. Mi limito a rammentare che le Croci a otto punte di cui parla la Torresi quando menziona la chiesa di Santa Lucia a Rapegna e la Croce di Santo Spirito all’ ingresso di Castello sono la convergenza di quattro spine di rosa . Possono essere interpretate come quattro percorsi d’iniziazione per il raggiungimento del Castello del re ,“ coronamento e sublimazione dell’ essere umano nel cammino verso la perfezione” . La Spina costituiva la barriera contro gli intrusi e i curiosi nei confronti del percorso iniziatico. La leggenda vuole che l’ Arca dell’ Alleanza degli Israeliti sia stata costruita con legno di rovo. Un chiaro riferimento all’ Antico Testamento.
L’ Autrice ricorda che la festivita’ piu’ importante per i Templari era la Pentecoste ,non la Pasqua .Nella tradizione cristiana la ricorrenza della Pentecoste rappresenta l’ irraggiamento dello Spirito divino sugli uomini . Nel mondo Templare era intesa come investitura celeste che chiamava l’ Ordine a realizzare in campo spirituale e materiale l’ insegnamento
divino .I due cavalieri su un unico cavallo sottintendono anche questo messaggio.
La denominazione dell’Ordine ( Cavalieri del Tempio) si iscrive nel contesto della tradizione che fa’ del Tempio di Salomone il luogo di collocazione ideale della Terza Persona della Trinita’ . Non e’ un caso che la chiesa contigua al vecchio Ospedale di Castel Sant’Angelo si chiami Santo Spirito . Nella storiografia che si e’ occupata dell’ Ordine e nelle leggende che lo circondano ricorrono alcuni motivi suggestivi .Il tre , numero sacro dei Druidi e dei Cristiani,fu impiegato con dovizia nella regola di San Bernardo che codificava ufficialmente i Miletes Templi .Un Cavaliere Templare era obbligato a battersi anche in presenza di tre nemici e poteva rispondere alle offese solo dopo la terza aggressione , verbale o fisica .
Se inadempiente a un obbligo o a un incarico , doveva essere flagellato per tre volte. Tre volte alla settimana mangiava carne , doveva andare a Messa tre volte nella settimana e sempre per tre volte elargire le elemosine . Un Cavaliere Templare poteva svuotare il piatto tre volte dopo un periodo di digiuno. Il tre e’ il numero sacro dei Druidi .Essi riferivano al tre la formulazione dei loro giudizi e l’ espressione dei valori della loro dottrina : per loro e in altre culture e tradizioni il tre rappresentava l’ equilibrio, l’ armonia e la completezza della Creazione .Nella dottrina pitagorica il numero tre ricorre con altrettanta importanza e assume un rilievo particolare .Per lo scienziato greco rappresenta l’ unione di forma e materia . Il Dio infinito e la materia infinita divengono una sola cosa .Attraverso il tre il cosmo raggiunge la compiutezza della sua espressione :altezza , lunghezza e profondita’ nello spazio : passato ,presente e futuro nel tempo .Per Bernardo di Chiaravalle Dio e’ lunghezza,altezza , larghezza e profondita’ .Ogni Gran Maestro dei templari possedeva un’ asta ,l’
abaco , che simboleggiava la forza virile , presente nella simbologia pitagorica .L’ Abaco identificava la loro carica e il potere di cui erano investiti .Di profilo la sagoma dell’ abaco ricorda una croce egizia ,l’ Ankh. I Maestri inoltre disponevano di un altro simbolo: la frusta ,identica a quella raffigurata sul portale meridionale della cattedrale di Chartres tra le mani di un angelo. E’ una frusta a tre code ( sottolineo la ricorrenza del numero anche in questo particolare e la sua somiglianza con quella che ha tra le mani il faraone egizio Tutankhamon). Probabilmente i legami della dottrina esoterica dei Templari con la scienza e con la cultura dell’ antico Egitto erano molto forti .I tre colori impiegati dai Templari ( rosso ,bianco e nero)ricordano il cigno ( zampe nere , corpo bianco , becco rossastro ), animale sacro per i Celti. Il rosso e’ il colore della vita ,del sacro e del segreto. Rappresenta il sole . Il bianco simboleggia la purezza e la castita’ ,rappresenta la Luna , indica il confine tra il mondo terreno e l’ aldila’; il nero rappresenta forza e coraggio, trascendenza , rinascita, l’ alchimia legata alla materia prima, materia originaria e punto di partenza della Grande Opera e riveste un ruolo importante . Il nero simboleggia il passaggio dal giorno alla notte , dal Bene al male ,dal conscio all’ inconscio.
Sull’ architrave del portale della Chiesa di Santo Spirito a Castel Sant’ Angelo fu scolpita una doppia croce patente caudata .La croce ricorda quella di una dimora rurale di Pieve Bovigliana , nella quale si fondono simboli della tradizione Templare e della cultura alchemica. Queste testimonianze ci parlano di una realta’ sopravvissuta alla persecuzione di cui fu oggetto l’Ordine ,testimonianze che hanno superato la prova del tempo e beffato gli editti di Giovanni XXII .La croce posta sulla spalla sx del mantello dei cavalieri ,davanti al cuore , simboleggiava le sofferenze del Cristo :il rosso e’ il colore della vita e del sangue . Nelle quattro direzioni della Croce identifichiamo l’ Universo. La croce patente e’dotata di otto punte ,che ricordano la pianta ottagonale di molte Chiese templari. L’ otto rappresenta anche il circolo eterno e in posizione orizzontale , e’ simbolo dell’ infinito. La Croce e’ antichissima e rintracciabile in molte culture precristiane . Per i Templari rappresentava i quattro elementi
( acqua , fuoco ,aria, terra ) e i quattro evangelisti (Giovanni ,Marco,
Luca ,Matteo ) .Il papa aveva intimato di “ scalpellare le croci e i distintivi templari perche’ se ne estinguesse la memoria in eterno “….I versanti umbro, maceratese ,fermano ed ascolano dei Monti Sibillini sono ricchi di prove del passaggio dei Templari e dell’ insediamento dell’ Ordine nelle valli dell’Alto Nera. A Castel Sant’ Angelo ,decentrato dalle vie di comunicazione rispetto a Visso , Preci, Norcia ,si sono conservate per un periodo piu’ lungo e meglio che altrove. Non solo nell“ Hospitalis Sancti Spiriti” e nella Chiesa attigua dedicata al culto dello Spirito Santo ,in linea con la cultura e la tradizione dei Monaci guerrieri.
All’ inizio della Tavola ho scritto che le mura del Castello hanno un profilo triangolare : il triangolo richiama la simbologia del numero tre ,sintesi della triplice unita’ dell’essere vivente .Deriva dalla somma di uno e due : perfetto, se inteso come unione di Cielo e Terra . Infiniti i significati attribuiti al numero : la cifra esprimeva un tempo il buon pensiero,la buona parola e la buona azione ,salvatori dell’ uomo. La sovrapposizione di due triangoli delinea la stella e il sigillo di Salomone ; i vertici dell’ esagono ideale del castello si proiettano verso le “ville “: ciascuna frazione del Castello aveva dignita’ e vita propria , ma in caso di necessita’ poteva rifugiarsi all’ interno delle mura fortificate : San Martino era la parrocchia invernale dei gualdesi e i casarini le abitazioni dei valligiani nella fortezza del Monte Efra .Una delle porte piu ’belle ed importanti delle mura si fregia dello stemma Longobardo di San Michele Arcangelo, parte del vecchio convento di Sant’ Angelo, purtroppo scomparso. La storia della religione cristiana indica le funzioni attribuite ai tre arcangeli maggiori:
-Michele , Vincitore del Drago , Pescatore delle Anime; -Gabriele ,Messaggero ed Iniziatore ;
-Raffaele, Guida dei Medici e dei Viaggiatori.
Quanto al numero sette ,Castel Sant’ Angelo insieme alle sue Ville si configura secondo il numero che esprime i sette stati della materia , i sette gradi della coscienza , le sette tappe dell’ evoluzione :cito , seguendo la traccia delineata dalla Torresi, gli stadi della coscienza :
Coscienza del corpo fisico = soddisfazione dei desideri materiali ; coscienza dell’ emozione = sentimento e immaginazione arricchiscono gli stati emotivi;
coscienza dell’ intelligenza =uso della ragione che ordina e classifica ; coscienza dell’ intuizione = correlazione tra inconscio e reale ; coscienza della spiritualita’ ;=distacco dalla vita materiale ;
coscienza dell volonta’=impiego della consapevolezza mirata al’ azione ; coscienza della vita = indirizzo di ogni azione ad un fine eterno.
La simbologia dei numeri si ricollega al monito “ In omnibus finem”.
Il sette rappresenta l’uomo compiuto,indica i giorni della settimana ,adombra il ciclo della creazione e il numero delle sfere celesti, i petali della rosa con cui viene designata la perfezione (il fiore caro alla tradizione Templare ricorre in fregi e decorazioni degli edifici del castello),i sette cieli ,le sette gerarchie angeliche .
Il sette , simbolo di vita eterna presso gli antichi Egizi, esprime l’illimitato,e’ sinonimo di liberazione , rinascita , salvezza :in questi concetti ricorre anche il tre .
Nella lotta tra bene e male il Maligno si appropria del sette per
caratterizzare la Bestia dell’ Apocalisse. La Bestia dalle sette teste non potra’ nulla contro la “Donna” ,minacciata per mileduecentosettanta giorni ,equivalenti a tre anni e mezzo (la meta’ di sette). Settimo e’ il giorno del riposo inteso come invito a rifugiarsi in Dio,richiamato nella festivita’ di San Martino dei Gualdesi e affrescato nella chiesa piu’ bella di Castel Sant’Angelo come rappresentazione del precetto della santificazione .
Tralascio le altre valenze del sette: il numero rappresenta l’ unione dell’ uomo ( tre ) con la donna ( quattro ) : la Divinita’ , sintesi del maschile e del femminile ed anche in questo senso perfezione assoluta.
Un’ altra chiesa delle Valli castellane ,Santa Maria del Castellare di Nocelleto , rifugio dei Clareni ,reca nei piedritti del finestrone frontale la raffigurazione di teste di toro e di mucca che riconducono al maschile e femminile.
Anticamente il Toro rappresentava la forma creatrice .Il suo culto ,stigmatizzato da Mose’, era sopravvissuto a lungo in Israele: rammentate il vitello d’oro e l’ accusa di idolatria rivolta al popolo dal condottiero israelita ?Simonetta Torresi scrive che del suo culto esistono tracce anche in Siria ,Anatolia e in Egitto. Nell’ambito indoeuropeo il toro identificava la fecondita’ e sin dal periodo neolitico ,secondo l’ autrice ,furono rappresentate entita’ divine con fattezze bovine.
Ur ,Dio della Luna era denominato il potente giovane Toro del cielo;in Egitto la divinita’ della Luna era definita il Toro delle stelle e con la parola Ur o Uro era indicato il Toro primigenio ,forma arcaica progenitrice del bue domestico. Nel culto del dio Mitra ,diffuso tra le legioni romane sino ai provvedimenti liberticidi di Teodosio,il Toro, ,divinita’ lunare rappresenta ,all’ interno della religione solare di Aua Mazda ,il momento della morte e propizia la resurrezione. La religione cristiana ,nella parabola del figliol prodigo (Luca 15,11-23) ,con l’ uccisione del vitello grasso sancisce attraverso il sacrificio dell’ animale la rinascita dell’ uomo dopo la perdizione . Nel II secolo d. C. il rito di Cibele ,collegato anche al Monte Sibilla e alle leggende che animano da secoli le nostre montagne ,fu arricchito da un rituale di origine orientale ,il battesimo del sangue .Nel “taurobolio “ l’ iniziando, irrorato dal sangue dell’ animale, simboleggiava la rinascita a vita eterna .Mitra .Dio “vincitore ed invitto” era il salvatore nato da una roccia dopo il solstizio d’ inverno, il 25 dicembre ,quando i giorni si allungano e si celebra il natale del sole . L’ uccisione del Toro pone le premesse per la creazione di ogni forma di vita e anticipa le prerogative della Sibilla, signora della montagna , delle piante e degli animali. Archetipo della Madre fertile ,la Mucca e’ insieme cielo e terra ,fa’ vivere gli dei e gli uomini . Nell’ olimpo Egizio viene raffigurata con l’astro notturno tra le corna ,e’ madre e sposa del sole .Il suo latte vivifica il mondo e come una nube densa di pioggia ristora la Terra uccisa dai venti che simboleggiano lo spirito dei morti. Poetica l’immagine dei Sumeri secondo cui la mucca era la luna piena e la mandria la via Lattea . Entrambi i simboli che troviamo nei piedritti del finestrone di Santa Maria Clarena in Castellare di Nocelleto ci ricordano il Maschio-Uomo che rappresenta lo Spirito di vita e la Femmina -Donna , anima portatrice della vita .
La Sibilla Appeninica rappresenta l’ essere terreno elevato a condizione soprannaturale ,status che le consente la comunicazione con il divino. Strumento di rivelazione , diffonde vaticini e messaggi. Il culto delle Sibille si perde nella notte dei tempi. Erano dieci o dodici ,secondo tradizioni differenti .Le Sibille rappresentavano un punto di riferimento per l’ umanita’ che si rivolgeva loro per rivelazioni e profezie . La leggenda vuole che gli scritti di una di loro fossero acquistati da uno dei discendenti dei Tarquini per essere custoditi nel Tempio capitolino di Roma ,sino all’ 83 a C. Erano considerati un compendio di sapienzialita’ . Acquisiti e rielaborati dal Cristianesimo, sarebbero stati conservati e protetti come raccolte di profezie.
Il carattere distintivo ,la prerogativa della Sibilla Appenninica risiede secondo l’ autrice del libro che ho citato piu’ volte nel corso della tavola nel fatto che ha originato una civilta’ ,permeando il suo territorio e lasciando in secondo piano la funzione vaticinante .Questo la diversifica dalle altre Pizie come la Cumana e la Delfica .
I postulanti che non comprendevano i loro vaticini si allontanavano dai luoghi di culto maledicendo le Sibille:l’ aggettivo “sibillino”puo’ essere ricondotto all’ ambiguita’ dei loro messaggi e all’ oscurita’ del loro linguaggio .La Signora del monte coronato ,definita Grande Madre,
Alcina , Melusina,dipinta dalla fantasia popolare come anticipatrice della vergine Maria dei cristiani o come sua antagonista richiama un legame iniziatico di morte per la rinascita , presente in ogni rituale .Apuleio ne “L’ Asino d’oro “cita una stanza segreta contigua alla soglia di Proserpina che avrebbe avvicinato gli dei del cielo e degli inferi. In quel momento e in quel luogo ,secondo lo scrittore latino ,il vecchio uomo muore e lascia rinascere l’uomo nuovo.
Come nel battesimo cristiano e nell’ iniziazione dell’ apprendista Libero Muratore
Ceccco D’ Ascoli dedico’ alla Sibilla questi versi:
“ Io son dal terzo cielo trasformato, in questa donna che non so chi foi , per cui me sento onnora piu’ beato di lei prese forma el meo intelletto mostrandone salute l’ occhi soi mirando le verita’ del suo conspecto donqua io so ella …..
( L’ Acerba , Libro III , Capitolo I).
Il poeta nei suoi scritti ricorda la Sibilla : affiliato dei Fedeli in Amore ,vedeva nel rapporto con la Maga Alcina un punto di partenza della via verso la conoscenza e il libero pensiero che gli sarebbero costati il rogo. Un aneddoto sintomatico del clima dei Sibillini,diviso tra storia e leggenda,riguarda la visita di San Benedetto allo speco della Sibilla ,allegoria del suo viaggio interiore.
.La discesa nella grotta di Benedetto ,Guerin Meschino e Tannhauser ante litteram in senso spirituale ,ricorda l’usanza celtica che prevedeva il sacrificio propiziatorio annuale per il rinnovo della fecondita’ della terra e dei suoi abitanti attraverso l’ unione con la divinita’ locale.
La regola benedettina avrebbe consolidato alcuni punti fermi della civilta’ occidentale rivisitando il lavoro spogliato della componente avvilente , nobilitandolo e ponendolo sul piano della preghiera , cioe’ del rapporto con Dio: avrebbe posto le premesse per uno sviluppo inedito della coscienza sociale e della stessa concezione della produzione dei beni.
Proseguo la carrelata di riflessioni che questa sera condivido con voi e con i Fratelli della R.:L.:Garibaldi di Ancona che ci onorano con loro partecipazione ai lavori della nostra Officina. In Francia esistono tre localita’ in cui e’ stata rilevata la presenza del cosiddetto quadrato magico :Stenay, Gisors, Rennes-Le –Chateau: tre citta’ definite dal Priorato di
