Androgino

SULL' ANDROGINO

L’archetipo androgino nasce dall’esigenza di unire la capacità di generare (principio femminile) e quella di fecondare (principio maschile); e nonostante la Bibbia si sforzi di dimostrare che Dio creò usando esclusivamente la parola, alla pronuncia, per l’ottava volta, delle parole creatrici (i ‘Dio disse’, dieci, del primo capitolo della Genesi) non può non rivelare la sua doppia natura – della quale l’uomo è stato creato “ad immagine e somiglianza” – maschile e femminile allo stesso tempo.
Numerose altre tradizioni mitologiche assumono una concezione per lo più identica del dualismo nella divinità, per quanto la tradizione egizia e la maggior parte delle tradizioni orientali facciano nascere il tutto da un gesto del dio primordiale.

Questo non preclude, d’altra parte, l’ingresso nel pantheon egizio di divinità androgine. Hapi, il dio del Nilo, le cui acque celano il fuoco fecondatore, è raffigurato quale uomo grasso e dotato di seni; Mut, la grande madre, è dotata insieme di organi sessuali maschili e femminili, a rappresentazione della natura naturans e riconducibile, nella mitologia greca, a Cibele. Le due divinità, tuttavia, sono state generate da un primordiale dio solare che, motu proprio, crea l’Enneade, alla quale appartengono, tra gli altri, Nut e Geb (cielo e terra) ed Osiride e Iside (sole e luna).

La questione della coesistenza degli opposti nella dimensione divina non è di poco conto, specie se si considera l’imbarazzo e lo scandalo che da sempre ha suscitato negli uomini l’idea di un dio attivo e insieme passivo, di un uomo che, riflettendo l’immagine del proprio creatore, sia ad un tempo capace di fecondare e di generare. Poiché, d’altra parte, la realtà mostra che il maschio è solo capace di fecondare, limitando la propria capacità generativa alla mente, nei secoli si giunse ad una separazione netta dei sessi, con una netta predominanza del maschile sul femminile.
La Genesi giunse alla separazione con altri due versetti, probabilmente risalenti ad una revisione successiva.

Nel primo (Genesi, 2:21) affermando che ‘ …il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno ‘ e che ‘mentre era addormentato, prese da lui una costola che sostituì con carne’; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la costruzione (non la creazione!) della donna e presentandola ad Adamo.

Nella tradizione greca, la divisione più complessa e fantastica viene narrata dal Simposio di Platone. Per quanto anche qui si parli dell’intervento di un dio separatore, i presupposti sono molto diversi: l’androgino che subisce la separazione non è già più l’immagine speculare di un Dio, per quanto pur sempre figlio degli astri; Zeus è un dio maschio, ed i suoi vizi sono identici a quelli degli uomini. L’androgino descritto da Platone affonda le sue radici in una realtà ben più arcaica e primordiale, quando Zeus non esisteva ancora ed i sessi si manifestavano congiunti indistintamente nel caos della natura naturans. Ancora il mito di Cibele e di Agdistis (Afrodito), cui si accennava sopra.

Ciò che nel Simposio Aristofane dice a Eurissimaco, presuppone non solo l’esistenza di un Grande Androgino originario, ma attesta altresì una υβρις (hybris) fondamentale presente nell’androgino umano: la superbia e la violenza che, esattamente come avviene per Agdistis, devono essere punite.
“Dunque – dice Aristofane – i sessi erano tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine dal sole, il femminile dalla terra, mentre l’altro, partecipe di entrambi, dalla luna, perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi rotondi di forma e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro genitori. Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dei…” Zeus, quindi, decise di punire gli esseri androgini ma, proprio come per Agdistis, la punizione non comportò la morte che, osserva Platone, avrebbe determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici che gli uomini attribuivano agli dei; come Agdistis fu evirato, così gli androgini furono tagliati a metà e, da allora, dedicarono l’esistenza alla ricerca della metà mancante. Questo non tanto col desiderio di riunirsi alla propria opposta polarità (come vorrebbe far credere un’interpretazione poetica che, solo nel matrimonio, santifica l’unione dei sessi) ma con l’idea della più completa reintegrazione dell’androgino primordiale. Il che, poi, non è solo una metafora poetica dal momento che esiste un’abbondante letteratura sull’androginia e una sua altrettanto ricca rappresentazione nelle arti figurative, come il Rebis o ermafrodito ermetico.

Questo simbolo, forse il più importante dell’ermetismo, risale, di alchimista in alchimista, sino a Zosimo Panopolitano, iniziato ai Misteri d’Egitto alla fine del III secolo od al principio del IV secolo dell’era volgare. “Questo è il divino e grande mistero” dice Zosimo “l’oggetto che si cerca. Questo è il tutto. Da lui (proviene) il tutto, e per lui (esiste) il tutto. Due nature, una sola essenza; perché l’una attrae l’una, e l’una domina l’una. Questa è l’acqua di argento, l’ermafrodito, quello che sempre fugge, quello che è attirato verso i suoi propri elementi. È l’Acqua Divina che tutto il mondo ha ignorato, di cui la natura è difficile a contemplare, perché non è né un metallo, né dell’acqua sempre in movimento, né un corpo (metallico); essa non è dominata”. In Zosimo questo carattere androgino, come si vede, è riferito al mercurio (idrargirio dei Greci). Questo simbolo riappare nei più antichi testi alchemici latini del Medioevo, che non sono altro che traduzioni o derivazioni immediate di testi arabi o ebraico-arabi, e riceve allora varie denominazioni: Magnesia, pietra Diabessi, e tra queste la singolare denominazione di Rebis, ossia Res bis, la cosa duplice. Così in scritti attribuiti a Rosino (forse corruzione di Zosimo), anteriori certo al 1330 (perché Rosino è citato da Pietro Bono di Pola nel 1330) è detto: “Prendi dunque della pietra dovunque trovata, che si chiama Rebis… , vale a dire binas res, due cose, cioè l’umido e il frigido, il secco ed il caldo”. E l’alchimista Riccardo Anglico, contemporaneo di Pietro Bono: “La pietra è unica, unica la medicina che secondo i Filosofi si chiama Rebis, cioè la cosa doppia (res bina), cioè dal corpo e dallo spirito bianco o rosso”. E Lorenzo Ventura di Venezia dice che “quella cosa, della quale si fa la pietra è chiamata Rebis, cioè res bis composta… Di due infatti è composta, dello sperma del maschio e del mestruo della femmina, cioè nasce dal rosso e dal bianco…”.

Il Rebis di Basilio Valentino tiene nella sua destra un compasso, nella sinistra una squadra. La destra corrisponde alla parte maschile della figura. Sul petto dell’androgino sta scritto Rebis; ed è interessante osservare che la parola Rebis, scritta da destra a sinistra, ha tutte le lettere rovesciate, ed è veduta quale apparirebbe guardando lo scritto ordinario per trasparenza oppure in uno specchio. Dal centro del petto si irradiano dei raggi che vanno ai simboli astrologici dei sette pianeti, od alchemici dei sette metalli corrispondenti, disposti torno torno circolarmente salendo a cominciare da sinistra (parte femminile) e poi discendendo, in questo ordine: Saturno, Giove, Luna, Mercurio, Sole, Marte, Venere. Il simbolo del Mercurio sta in alto, nel mezzo, tra le due teste, la maschile e la femminile.

Questa visione antropomorfa, maschile e materialista della divinità si trova, con diverse accentuazioni, in tutte le religioni e nella tradizione ebraico – cristiana trova la sua pietra d’inciampo nell’allegoria del serpente e della scimmia. Cosa dice il serpente alla donna? Che se lei e il suo compagno mangeranno il frutto proibito, diverranno simili a Dio. Ed ecco Adamo ed Eva che, in luogo di reintegrarsi nell’Uomo cosmico, si trasformano in simia dei, scimmia di Dio.
Androgino è dunque il cosmo, non l’uomo, nel senso che ogni aspetto del reale necessità dell’azione congiunta della femmina e del maschio, e benché si dica che il cosmo è creato a immagine di Dio, la sua somiglianza, poiché Dio è privo di forma, si estrinseca nell’unicità e nell’immortalità, ma già differisce nel principio stesso della sua esistenza, armonico in sé ma suscettibile di contrasto e separazione nell’individuazione delle forme del divenire. Tant’è che gli ermetici lo dicono bello, ma non buono ad indicare che è soggetto a passione e corruzione, non in sé, ma nel tempo e nello spazio.

Cosa, d’altra parte, ci fa persuasi che il cosmo è uno, visto che la realtà si manifesta sempre nella forma della polarità e della contrapposizione (maschio – femmina, male – bene, odio – amore, luce – tenebre, giorno – notte, vita – morte…)? Non potendo creare un altro se stesso, se non riproponendo, come già si è detto, l’identità di sé, dio scelse di creare, sì un dio, perché, a propria immagine e somiglianza, lo fece uno e immortale, ma un dio visibile e sensibile, non tanto perché costui percepisse ma perché potesse essere percepito: nacque così l’androgino ermetico – primo mattone della costruzione del cosmo, mirabile pietra grezza in cui la trinità converge nell’unità ancora indistinta e caotica, unico e vero figlio di dio, logos divino in cui dio si è fatto carne. Questi e solo questi è l’ Adam Qadmon, l’androgino primordiale, il caos primordiale che contiene, indistinti, i principi maschile e femminile, e per mezzo del quale nasce l’ordine (cosmo) e si riconoscono le forme effimere e molteplici del reale.

Sotto questo profilo, l’intera storia, non solo dell’umanità, ma di tutte le forme esistenti e di quelle di là da venire, altro non è che la grande epopea dell’Ermete Trismegisto, il mercurio tre volte grande, non perché – come è stato detto – egli sia figura umana dotata di straordinaria saggezza e signore nei tre regni, bensì, perché è l’anima di tutte le fasi della Grande Opera. Dove il mercurio è tre volte grande? Nell’essere materia prima dell’Opera, nel morire e nel saper rinascere. Egli è ad un tempo la pietra grezza, la pietra lavorata e la pietra filosofale. Non a caso il suo nome greco, Ermes, significa pilastro di pietra e in tale forma veniva spesso rappresentato. Nella mitologia greca, egli è padre di Ermafrodito (l’androgino, la pietra grezza), generatogli da Afrodite nata dalla spuma del mare, fecondata dai genitali recisi di Urano.

R.:L.: Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. e lo spirito che la anima.

R.’. L .’. Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. È lo spirito che la anima.
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