Barbaricino

IL CODICE BARBARICINO

Per comprendere cosa rappresenta e dove si sviluppa il codice barbaricino occorre in primo luogo effettuare una riflessione sui sardi e sul contesto storico nel quale ha avuto origine.
Secondo uno scrittore isolano i sardi sono “armati l’uno contro l’altro come granchi in una cesta”.
Questo a significare che i sardi fanno a gara a non capirsi tra loro cosicchè tra un cagliaritano ed un nuorese c’è la stessa differenza che corre tra un abitante della Barbagia ed un abitante della Costa Smeralda.
Il carattere isolano è quello di un popolo poco incline ai patti diplomatici tra gli stessi residenti .
Frattura ancor più grande esiste ed è sempre esistita con gli italiani continentali.
La diffidenza dei sardi ha del resto origini storiche.

Arabi, Visigoti, Catalani, Aragonesi e Piemontesi si mostrarono in veste di esattori di tasse che venivano pagate e che non si traducevano in un miglioramento delle opere pubbliche, di commissari di leva che portavano via i figli minori a combattere altrove, di forze di polizia particolarmente dure nelle repressioni, di amministratori di giustizia poco imparziali.
Nel 1861 con l’unificazione del Regno, la Sardegna divenne italiana.
L’unità politica non portò sostanziali cambiamenti.

La Sardegna era in forte ritardo rispetto alle altre regioni italiane, anche alle più povere. In più c’era l’handicap del mare acuito dal fatto che i trasporti marittimi erano insufficienti e costosi.
Le comunità rurali e le fasce di popolazione più povere furono ulteriormente danneggiate dalle scelte del governo nazionale relative ai terreni.
Questi terreni sfruttati dai contadini e dai pastori per far legna e raccogliere ghiande, furono concessi ad imprese per lo sfruttamento delle risorse del bosco con l’Editto delle Chiudende, in poche parole ne fu privatizzato l’utilizzo.
La tensione raggiunse il suo culmine con i moti di Nuoro del 26/4/1868 definiti ” Torramus a su connottu” cioè “torniamo al conosciuto”.
In quella occasione i rivoltosi diedero alle fiamme il simbolo del potere ossia il palazzo del municipio di Nuoro chiedendo di tornare al conosciuto ossia alla tradizione dell’utilizzo comune dei terreni.

E’ in questo clima di malumore diffuso, di sfiducia nei confronti dello stato che in una precisa zona della Sardegna denominata Barbagia, che abbraccia il nuorese ed il massiccio del Gennargentu, si è sviluppato un codice di tradizione orale costituente un ordinamento giuridico di fatto il cosiddetto codice barbaricino.

Il codice barbaricino è un codice culturale che nacque nell’entroterra sardo della Barbagia, ove vigeva una cultura agro – pastorale.

Nacque come azione di tutela giuridica derivante da una sfiducia nei confronti del sistema giudiziario dello stato ritenuto inadeguato a far fronte a qualsiasi tipo di contesa privata.
Nel codice d’onore barbaricino quando viene subita un’offesa ci si deve vendicare. Un uomo d’onore non si può sottrarre alla vendetta.
Solo l’ uomo d’onore ossia il balente può e deve riscattare le offese subite dal suo gruppo famigliare.

Secondo la concezione barbaricina solo il balente è dotato di quella forza fisica e morale che gli consente di dominare la sorte perché l’obbiettivo della vendetta deve essere quello di finire il nemico e sopravvivere alla sua morte.
Alla figura del balente si contrappone quella del guastu che designa in barbagia una persona affetta da menomazioni fisiche che non può compiere azioni di vendetta perché non dotato della forza necessaria.
Quindi il codice barbaricino è fondato sulla figura del balente e ciò riflette l’immagine di una società ordinata e forte dove la fierezza rappresenta il pilastro su cui questo impianto culturale si regge.
Pertanto una volta accertata la responsabilità di un’azione, la vendetta può essere eseguita.
Essa deve essere progressiva, prudente e proporzionata cioè deve arrecare un danno analogo a quello subito e deve essere compiuta solo dopo che si è conseguita la certezza sulla identità della persona che ha perpetrato l’offesa.

La vendetta deve essere esercitata entro ragionevoli limiti di tempo ad eccezione della offesa del sangue che non cade mai in prescrizione.
Il codice barbaricino dà luogo ad una faida interminabile perché l’azione offensiva posta in essere a titolo di vendetta costituisce a sua volta motivo di vendetta da parte di chi ne è stato colpito.
In particolar modo la vendetta del sangue costituisce offesa grave anche quando è stata consumata allo scopo di vendicare una precedente offesa di sangue.

Si sviluppa quindi un susseguirsi di azioni conflittuali che gruppi famigliari si scambiano fra di loro.
Il più grande studioso del codice barbaricino è stato Antonio Pigliaru, docente di diritto penale, che tra il 1955 ed il 1969 ha scritto quattro testi sull’argomento identificati complessivamente come Codice della Vendetta.
Secondo Pigliaru il codice barbaricino rappresenta una frattura totale e definitiva con l’autorità dello stato.
Sempre secondo Pigliaru il codice barbaricino trova la sua fonte e ragione di essere nella terribile vita del pastore.
Il Codice della vendetta è il codice dei pastori non dei banditi.
La vita del pastore è un continuo stato di necessità in perenne conflitto con la natura e con la miseria.
Il pastore della Barbagia è solo nella natura come una bestia selvatica.
Prima condizione per sopravvivere sta nel fatto che il pastore deve essere forte e quindi balente.

Seconda condizione per sopravvivere è che il pastore il balente si dia delle regole perché in quel terribile mondo naturale le regole dello stato non arrivano e se arrivano non sono accettate.
Le regole che i pastori si danno sono quelle del codice barbaricino.
Quando si subisce un torto non c’è altra giustizia se non la tua vendetta: non puoi non farti giustizia.

Ma le regole non scritte del codice barbaricino stabiliscono dei limiti precisi della vendetta che non può essere lasciata all’arbitrio del singolo perché la vendetta deve essere proporzionata, prudente e progressiva.
Non si può sottacere che il codice della vendetta è rimasto radicato nella barbagia anche nel 1900 ed ha costituito la base per lo sviluppo del banditismo sardo.
Con l’affermarsi delle prime forme di industrializzazione sull’isola crebbe la marginalità della pastorizia.
Si aprì un divario profondo tra la Sardegna sviluppata dove circolava denaro grazie all’attività industriale e all’indotto generato dal turismo e una Sardegna agro pastorale povera, chiusa e refrattaria ad ogni cambiamento.
In questa situazione nacque nel mondo pastorale un ‘etica del risentimento che arriva a giustificare l’uso delle armi e la pratica dei sequestri di persona.
Le condizioni storiche ed il contesto sociale nel quale si è sviluppato possono indurre a giustificare il codice barbaricino ed addirittura a rinvenire in esso degli elementi positivi.
Non vi è però alcun dubbio sul fatto che esso rappresenta un ordinamento normativo contrapposto a quello statale.

Ed è incontestabile che l’applicazione del codice barbaricino provocava una socializzazione del fatto privato poiché l’offesa subita legittimava la vendetta e l’azione compiuta per vendicarsi provocava nuove offese dando luogo ad una faida interminabile.
Da ciò è facile capire che si può avere uno stato civile solamente quando i cittadini delegano a terzi ossia ai tribunali statali la risoluzione delle proprie controversie. Infatti solo delegando ad un arbitro terzo la composizione delle vertenze insorte tra i consociati si può sperare in una giustizia imparziale e non rimessa alla discrezionalità del singolo.
La funzione dell’apparato giudiziario statale non è solo quella di applicare la legge ma principalmente quella di appianare in modo civile ed uniforme i contrasti insorti tra i consociati garantendo una pacifica convivenza tra gli stessi.

Quindi per quanto si possa condannare l’attuale sistema giudiziario italiano per le sue lungaggini, per le sue croniche carenze, per la necessità di riforme radicali e sostanziali, si può però affermare, senza tema di smentita, che esso rappresenta un baluardo imprescindibile contro ogni forma di faida e di anarchia.

R.:L.: Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. e lo spirito che la anima.

R.’. L .’. Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. È lo spirito che la anima.
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