Civitella tronto

L’INSORGENZA ANTIUNITARIA DI CIVITELLA DEL TRONTO

Quest’anno ricorre il 150° anniversario dalla costituzione del Regno d’Italia.
Molti insigni massoni hanno dato il loro fondamentale contributo morale e materiale per l’unificazione del nostro Paese.
Nessuno può nascondere i meriti di fratelli che ci hanno preceduto e nessuno può misconoscere l’importanza dell’unificazione per il nostro paese.
Sono però convinto che i liberi muratori debbano essere adogmatici e relativisti perché solo ponendosi domande e non accettando verità preconfezionate si può percorre il cammino verso il perfezionamento.


In questo quadro mi sembra utile e necessario ricordare un episodio storico che contrasta con la retorica trionfalistica che ha caratterizzato l’anniversario dell’unificazione.
Ma l’insorgenza antiunitaria e legittimista di Civitella del Tronto è un dato storico oggettivo , purtroppo trascurato dalla storiografia ufficiale.
È qui che deve emergere l’amore per la conoscenza e la verità che deve contraddistinguere noi liberi muratori.
Non possiamo far finta di nulla.
Non possiamo sottacere, proprio per il rispetto che dobbiamo alla conoscenza e alle nostre coscienze, che il risorgimento italiano non fu solo caratterizzato da episodi eroici e gloriosi.
La resistenza di Civitella del Tronto sta lì a ricordarcelo perché è vero che la storia la scrivono i vincitori ma anche ai vinti sono dovuti rispetto ed onore quando i loro comportamenti sono dettati da ragioni comprensibili.
La prima mistificazione storica sta già nelle date.
La storiografia ufficiale riconosce il 17 marzo 1861 come data di costituzione del Regno d’Italia ma Civitella del Tronto capitolò solo il 20 marzo 1861 cioè tre giorni dopo tale proclamazione.
Civitella del Tronto è una cittadina che si trova arroccata a 589 metri sul livello del mare a metà strada tra Teramo ed Ascoli Piceno.
La cittadina era accessibile solo da tre porte ( Porta Napoli, Porta di Vigna e Porta di Vena) ed aveva nella sua parte più alta una fortezza di pietra.
Ripercorriamo ora i fatti che hanno costituito il presupposto dell’insorgenza dei Civitellesi.
Il 7 settembre 1860 dopo centoquindici giorni di campagna militare dallo sbarco di Marsala (15 maggio) Garibaldi entrò a Napoli grazie ai tradimenti delle maggiori gerarchie dell’esercito e del governo borbonico passate dalla parte unitaria.
Francesco II di Borbone e Maria Sofia lasciarono Napoli a bordo del brigantino “Messaggero” e si rifugiarono a Gaeta.
L’esercito borbonico cercò di riorganizzarsi a Caserta ed a Capua.
A Gaeta il Re formò un governo presieduto dal generale Francesco Casella ed affidò le truppe borboniche al generale Giosuè Ritucci.
I borbonici si attestarono sulla linea del Volturno decisi a sfidare i garibaldini in una battaglia decisiva che avrebbe dovuto decidere l’esito di quella guerra non voluta e subita come un’aggressione.


A Napoli, purtroppo, i garibaldini commisero violenze e saccheggi di ogni genere.
La promessa libertà, imposta peraltro con le armi, risultava licenza solo per i vincitori.
La battaglia del Volturno che durò dodici ore ebbe esiti incerti. Garibaldi rischiò di essere ucciso a Sant’Angelo.


I garibaldini uscirono dalla battaglia demoralizzati.
Il generale borbonico Ritucci, nonostante le pressanti richieste del Re, non sfruttò la situazione e non riprese la battaglia nel momento in cui le truppe legittimiste potevano contare su un maggior entusiasmo e su una maggiore compattezza.
Quei tentennamenti consentirono alle truppe guidate da Vittorio Emanuele II di raggiungere il Meridione e di volgere a favore degli unitari le sorti della guerra. Rimasero solo Gaeta e Civitella del Tronto a tenere alta la bandiera della lealtà ai Borboni.
Gaeta, dove si erano rifugiati Francesco II di Borbone e Maria Sofia, subì uno dei più grandi assedi della storia.
Bombardata dalla terra e dal mare Gaeta resistette sino al 13 febbraio 1861. Francesco II e Maria Sofia, sorella di Sissi Imperatrice d’Austria, lasciarono Gaeta tra gli applausi e la commozione dei soldati borbonici per il coraggio dimostrato in quell’occasione.
Il giorno stesso dell’ingresso di Garibaldi a Napoli, Teramo aderì alla Rivoluzione liberale.

Il governo provvisorio fu affidato al prefetto Pasquale de Virgilii che il 12 ottobre 1860 accolse Vittorio Emanuele II sul ponte del Tronto al momento in cui i piemontesi varcarono i confini del Regno delle Due Sicilie.
Il De Virgilii emanò subito un’ordinanza con la quale proclamò che chiunque avesse preso le armi per ostacolare il movimento italiano sarebbe stato fucilato e tutti i comuni dove si fossero manifestati movimenti reazionari sarebbero stati messi in stato d’assedio e i cittadini fucilati dopo rito sommario.


Gli abitanti di Civitella del Tronto e la guarnigione borbonica di stanza nella stessa cittadina decisero di non cedere e di restare fedeli ai borboni.
A capo della guarnigione di Civitella del Tronto c’era il capitano Giuseppe Giovene di Napoli.
Il giovene aveva ricevuto direttamente da Francesco II il comando della guarnigione e l’ordine di respingere tutte le aggressioni contro la dinastia regnante.
L’8 settembre 1860, il giorno della svolta liberale di Teramo, il capitano Giovene scese nella Piazza Filippi-Pepe ed avvertì tutti i civitellesi che la città, da quel momento, si trovava in stato d’assedio in nome del legittimo sovrano e fissò le regole imposte dalle necessità militari.
Di fronte alle minacce del De Virgilii che gli impose di desistere, il Giovene rispose che si sarebbe arreso solo dietro ordine del re legittimo.
Civitella Del Tronto diventò in breve tempo il fulcro della resistenza borbonica in Abruzzo e nell’ascolano.
Da Civitella del Tronto partivano ordini e comunicazioni per il coordinamento delle operazioni militari e partigiane degli antiunitari.

La resistenza antiunitaria subì un’impennata il 21 ottobre 1860 quando si svolsero i plebisciti per l’annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia costituzionale di Casa Savoia.
Plebisciti che precedettero di poco il famoso incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi avvenuto a Teano il 26/10/1860 durante il quale l’eroe dei due mondi fu giubilato con la frase del Re:


“ Ponetevi alla riserva”.


I plebisciti purtroppo si rivelarono una farsa perché in quasi tutti i paesi non era presente l’urna dei no e si svolsero sotto il controllo delle famigerate guardie mobili piemontesi alla cui guida si trovava il generale Augusto Ferdinando Pinelli.
Di fronte alla resistenza di Civitella del Tronto e alle insurrezioni di Caramanico, Avezzano, Sora, Carsoli, Pizzoli il generale Pinelli decise la linea dura.
Invase Pizzoli il 28 ottobre 1860. Saccheggiò la città, la incendiò e fece strage di quanti tentarono di sottrarsi alle fiamme.
La sera per dormire requisì la villetta del farmacista Alessandro Cicchitelli.
Frugando nei cassetti trovò i ritratti di Francesco II e di Maria Sofia.
La mattina ordinò la fucilazione del farmacista davanti alla moglie implorante.
A San Vittorino quanti vennero trovati con le coccarde rosse ( simbolo borboniano) vennero catturati e costretti a sputare su quei simboli.
Chi si rifiutò venne fucilato sul posto.
La gente che assisteva alle fucilazioni di piazza doveva ridere.
Chi non festeggiava per i massacri veniva considerato un traditore e veniva

bastonato pubblicamente o peggio imprigionato.
La terra d’Abruzzo conobbe giorni di carneficina e di terrore.
Le guardie mobili piemontesi non miravano a conquistare i territori ma a distruggere e saccheggiare tutto ciò che incontravano al loro passaggio.
Le case venivano abbattute, la mobilia incendiata, il grano, l’olio ed il vino rovesciati per strada.
Gli abruzzesi, trattati senza pietà, impararono a non averne e diedero il via al fenomeno del brigantaggio.


Il 3 novembre del 1860 iniziò la seconda fase dell’assedio di Civitella : quella più dura.
La città fu completamente circondata dalle truppe piemontesi.
Il generale Pinelli sovrintese alle operazioni di assedio: fece costruire trincee e ripari; fece piazzare cannoni e prese il controllo di ogni via di accesso.
Le truppe assedianti erano composte da circa 1200 uomini fra piemontesi e garibaldini della Legione sannita.


La città venne sottoposta a continui cannoneggiamenti e a reiterati attacchi.
I briganti accorsero sempre a dar man forte agli assediati nei momenti di attacco e soprattutto corsero a vettovagliare la città.


Il 30 novembre 1860 ci fu il primo tentativo di assalto alla fortezza da parte degli assedianti.
Il tentativo venne respinto e l’indomani i civitellesi, sotto la guida del capitano Giovene, effettuarono una sortita contro le truppe piemontesi per dimostrare il loro indomito coraggio.

L’11 dicembre 1860 il generale Pinelli ordinò di bombardare in modo sistematico Civitella.
Gli assediati, aiutati dai briganti, risposero con delle sortite che ebbero l’effetto di far arretrare le truppe piemontesi.
Alla fine del 1860 venne introdotta la nuova legge piemontese sulla leva obbligatoria che darà il solo risultato di ingrossare le formazioni antiunitarie.
Durante una tregua di otto giorni all’inizio di gennaio 1861 il comandante Giovene venne contattato dal comando piemontese che gli intimò la resa.
Giovene diede la sua parola che si sarebbe arreso solo dopo la capitolazione di Gaeta.
Riprese le ostilità, un commerciante di cappelli di Civitella del Tronto, Filippo Enea, raggiunse Gaeta tra mille rischi, per conoscere le volontà del Re.
Il 24 gennaio 1861 l’Enea tornò a Civitella del Tronto e portò con sé un’ordinanza regia con la quale veniva encomiata la resistenza della guarnigione, veniva promosso il Giovene al grado di colonnello, e veniva concessa a quest’ultimo la facoltà di avanzare di un grado ufficiali, sottufficiali e soldati.
Il generale Pinelli il 3 febbraio 1861 emise un proclama destinato alle truppe piemontesi dai toni ingiustificatamente cruenti:


“ Un branco di quella progenie di ladroni ancora s’annida fra i monti: correte a snidarlo e siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali, la pietà è delitto….. Purificheremo con il ferro e con il fuoco le regioni infestate dall’immonda sua bava e da quelle ceneri sorgerà più orgogliosa la libertà anche per la nobile provincia ascolana……”.

L’indignazione generale suscitata da questo bando costrinse Torino a rimuovere il Pinelli, temporaneamente, dal comando.
Il Pinelli fu sostituito dal generale Luigi Mezzacapo, ex borbonico passato ai piemontesi, spietato quanto il suo predecessore ma abbastanza accorto tanto da non affiggere i suoi pensieri sui muri.
Il 13 febbraio 1861 capitolò Gaeta ed il Re Francesco II e la Regina Maria Sofia partirono per Roma.
Il Re, prima di abbandonare la Piazza, indirizzò all’Abruzzo un proclama con il quale lodò la lealtà manifestata ai Borboni e invitò gli stessi abruzzesi a resistere ad ogni costo e a non assoggettarsi alla volontà dei conquistatori.
La caduta di Gaeta mise il Giovene in una scomoda posizione.
Gli ufficiali piemontesi ricordarono al Giovene di aver dato la sua parola che in caso di capitolazione di Gaeta anche Civitella si sarebbe arresa.
Giovene riunì nella piazza d’armi la truppa e parlò in termini convincenti di onorevole capitolazione per evitare che la guarnigione venisse considerata fuori legge e sottoposta a giudizi sommari.
I soldati manifestarono un fermo diniego alla resa.
Giovene allora lasciò Civitella con il pretesto di perlustrare la strada di accesso e si consegnò in modo vile ai piemontesi.


La defezione del Giovene produsse un grande turbamento a Civitella anche perché lo stesso si era dimostrato un valido militare dirigendo in modo mirabile le operazioni durante l’assedio.
Ma i civitellesi, decisi a resistere a prezzo della vita, approntarono altre opere di difesa : murarono le porte della città e le rinforzarono con botti piene di terra.
Le truppe piemontesi, dal canto loro, ricevettero altri rinforzi e soprattutto altri cannoni.
Il 24 febbraio 1861 Civitella fu sottoposta ad un bombardamento infernale che durò sino alle due dopo mezzanotte.


Alle cinque del mattino del 15 febbraio 1861 tre colonne piemontesi scattarono all’assalto di Civitella precedute dai genieri che portavano le scale.
Le reazione degli assediati fu immediata e riuscì a respingere l’assalto.
Persino le donne ed i bambini si schierarono con i soldati borbonici sulle mura della fortezza e tirarono pietre contro le truppe degli assedianti.
Purtroppo la sorte di Civitella era segnata.
L’imponente schieramento delle truppe piemontesi ai piedi della città ebbe l’effetto di isolare completamente Civitella e di impedire qualunque rifornimento di cibo dall’esterno da parte dei briganti.


I viveri iniziarono a scarseggiare ed i civitellesi resistettero nella recondita speranza che truppe borboniche o d’altri stati europei arrivassero quanto prima a liberare Civitella.
Il 15 marzo 1861 arrivò a Civitella del Tronto il generale borbonico Giovan Battista della Rocca, latore di un ordine di resa di Francesco II diretto alla guarnigione.
Il Della Rocca non venne creduto dai civitellesi: ad essi apparve come un impostore perché il messaggio di Francesco II era contrario agli incitamenti rivolti a Civitella sino a qualche giorno prima.
I Civitellesi inviarono agli ufficiali piemontesi un ragazzino con un biglietto sul quale era scritto:


“ Non vi avanzate perché sarete respinti a cannonate”.


Ripresero così le ostilità e iniziarono gli ultimi tre giorni di assedio di Civitella.
I piemontesi iniziarono bombardamenti di agonia con scariche di mitraglia ogni quarto d’ora.
Civitella era allo stremo ma l’ingresso delle truppe piemontesi, avvenuto il 20 marzo 1861, non fu consentito da una resa incondizionata degli assediati bensì dal tradimento del generale borbonico Ascione che aprì le porte della città ai nemici. Civitella fu saccheggiata, vilipesa, distrutta dai piemontesi che cercavano solo vendetta.
Una sessantina furono i civitellesi fucilati in strada senza alcuna formalità.
Circa trecento furono i prigionieri.
Con Civitella cadde l’ultimo baluardo del Regno delle Due Sicilie.


Ma per duecento giorni i piemontesi che potevano contare su forze dieci volte superiori non furono in grado di espugnare la fortezza di Civitella.
Un tale esempio di coraggio e di fedeltà è stato possibile grazie alla gente semplice di Civitella ed ai gradi inferiori della guarnigione borbonica di stanza nella città.
Né gli uni né gli altri tollerarono, infatti, il gattopardismo di quei galantuomini che pur di tutelare i loro interessi erano passati, senza alcuna vergogna, dal giuramento di fedeltà a Re Francesco II a quello in favore di Vittorio Emanuele II.
Oggi, a ricordo di quei giorni, sul primo ordine di mura della fortezza c’è una lapide che reca la seguente frase:


“Anche una causa condannata dalla storia può nobilitarsi quando a prezzo di valore e di sangue si tiene alta la bandiera della Lealtà, Fedeltà ed Onore pure senza speranza. Assedio di Civitella del Tronto Fedelissima- ottobre 1860- 20 marzo 1861”

R.:L.: Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. È lo spirito che la anima.
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