Girolamo Savonarola

GIROLAMO SAVONAROLA TRA RIFORMISMO E FANATISMO

La mia passione per la lettura mi ha portato qualche tempo fa ad imbattermi in questa predica di Girolamo Savonarola:

” ma era di legno ogni cosa, quasi tutto dipinto ad uso di marmo e di porfido: una parte v’era inorpellata che parea oro fine: gli altari erano ornati con bellissimi paliotti e candelieri d’oro e d’argento con molti lumi. Vedevo venire i sacerdoti con piviali di broccato indosso, con certi ornamenti in capo di gemme preziose; in mano portavano baculi d’argento; innanzi a loro andavano i cantatori con diversi strumenti musici , e cantavano e sonavano tanto dolcemente che parea s’aprisse il paradiso.
Ognuno stava stupefatto e diceva: ” Il nostro tempio diventa ogni dì più bello; non fu mai più bello il tempio nostro !”.

Ora stando ognuno in festa e in tripudio, subito rovinò il tetto di quel tempio che aveva più peso che non si conveniva e ammazzò ognuno che v’era dentro”. Ora sta ad udire quel che si voglia significare e in che modo e quanto abbia malignato l’inimico nel tempio di Gesù Cristo.
Il primo tempio è la Chiesa primitiva di pietre vive, cioè cristiani solidati nella fede. Queste pietre erano fatte con lo scarpello e ben quadrate e ben compaginate insieme l’una con l’altra con fortissima calcina: così erano i fedeli della primitiva Chiesa ben percossi e scarpellati dalle persecuzioni dei tiranni, erano poi compaginati e congiunti insieme con il glutino della carità, perchè avevano un cuore e un ‘anima nel Signore …..”
La predica risale al 1493 ma il suo contenuto mi sembra ancora fortemente attuale.
Ritengo un dato oggettivo e incontestabile, al di là del personale rapporto con la Fede di ciascuno di noi , che la Chiesa di oggi abbia smarrito la sua funzione originaria.
La vera Chiesa per il Savonarola è costituita dai fedeli, da pietre vive unite insieme dal sentimento di carità cristiana e dall’amore verso Dio. Questa è la Chiesa eterna destinata a perpetuarsi nei secoli.

L’altra Chiesa, quella falsa, quella che mira solo alla magnificenza degli edifici, allo sfarzo delle vesti, quella che non si cura affatto delle anime dei fedeli è destinata a scomparire.
Cinquecento anni fa Savonarola identificava la scomparsa di quella Chiesa con il crollo del tetto del tempio.
Oggi il crollo simbolico della Chiesa può essere rappresentato dalla crisi delle vocazioni, dalla difesa di privilegi anacronistci, dalla incapacità di interpretare le reali esigenze dei fedeli.
Le parole usate dal Savonarola dovrebbero inoltre suscitare emozioni particolari sopratutto per noi massoni.
Il primo tempio, cioè la Chiesa primitiva, per il frate domenicano era costituito dai cristiani cioè da pietre vive fatte con lo scarpello, ben quadrate e ben compaginate insieme.
Non si può non fare un parallelismo con la costruzione del tempio massonico, con l’incessante lavoro di sgrossamento della pietra grezza cui il fratello libero muratore è chiamato sin dal rito di iniziazione quando l’esperto conduce il neofita vicino alla pietra grezza e gli fa battere i simbolici tre colpi.
Prima di passare all’analisi della vita del frate domenicano mi è sembrato opportuno farvi comprendere la ragione del mio interessamento verso il Savonarola.
Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 settembre 1452 da una famiglia modesta.
Il più importante maestro per il Savonarola fu il nonno Michele , valente medico e assiduo ascoltatore di predicazioni religiose.
A diciotto anni Girolamo Savonarola si iscrisse alla facoltà di medicina di Ferrara nell’intento di seguire le orme del nonno.
Dopo due anni visse una profonda crisi interiore che lo indusse ad abbandonare l’Università.
Savonarola era scandalizzato dagli eccessi cui erano dediti gli Estensi ma soprattutto era disgustato dalla dissolutezza e corruzione degli uomini di Chiesa.
Feste e lusso creavano attorno alla Chiesa di Roma un clima paganeggiante che ben poco si adattava al rigore ascetico della Chiesa primitiva.
L’inquietudine di Girolamo lo indusse a consacrare la sua vita alla professione religiosa.
Girolamo si orientò verso l’ordine domenicano fondato circa duecento anni prima ad opera di Domenico di Guzman.

Divenuto sacerdote, nel 1482 fu nominato lettore per il convento toscano di San Marco.
Giunse a Firenze quando la città era retta da Lorenzo il Magnifico.
Le prime prediche di Girolamo erano incentrate, secondo la tendenza dell’epoca, su questioni di carattere filosofico.
Girolamo si rese presto conto che tali prediche avevano scarsa efficacia soprattutto nei confronti dei fedeli più semplici e non riuscivano a risvegliare il senso cristiano della vita.
Decise di cambiare registro adottando nelle prediche una formula in base alla quale non avrebbe più allettato i suoi ascoltatori magnificando i premi celesti ma li avrebbe intimoriti descrivendo i castighi divini.
Le sue parole riuscirono a risvegliare l’atavico timore di punizioni ultraterrene e riuscirono soprattutto a risvegliare le anime dei fiorentini che sempre più numerosi accorrevano ad assistere alle sue prediche.
Del resto malgrado la durezza dei suoi sermoni il Savonarola riusciva ad essere credibile perchè conduceva per primo una vita da vero asceta, dormendo su un sacco di paglia, cibandosi in modo modesto, indossando abiti logori e rinunciando a qualsiasi forma di piacere terreno. Savonarola fu un autentico assertore di un contestuale riformismo religioso e politico.
Il Savonarola riteneva che la Chiesa dovesse essere prima flagellata poi rinnovata per recuperare lo spirito originario ed autentico di vicinanza ai bisogni dei fedeli.
Il Savonarola riteneva che i Medici avessero instaurato a Firenze un governo tirannico responsabile di vessazioni fiscali e di sfruttamento dei poveri.
Il frate riteneva altresì che ci fosse un impellente bisogno di una forma di Stato non tirannico in cui potesse essere estesa la partecipazione dei cittadini alla vita politica.
Lorenzo il Magnifico non accettò di buon grado le accuse che il Savonarola gli mosse più volte e lo fece ammonire di non tenere più simili prediche.
Girolamo Savonarola, dimostrando la sua intransigenza, il 6 aprile del 1491, mercoledì di pasqua, predicò a Palazzo Vecchio di fronte alla Signoria, affermando che il bene ed il male di una c ittà provengono dai suoi capi ma essi a Firenze sono superbi e corrotti.
Tale denuncia portò ad un inasprimento del conflitto con Lorenzo dei Medici.

Girolamo dimostrò di non curarsi di ciò e preannunciò la morte dello stesso Lorenzo con la celebre frase:

 ” io sono forestiero e lui cittadino e il primo della città; io ho da stare e lui se n’ha a andare …..”

L’8 aprile del 1492 Lorenzo il Magnifico morì nella sua villa di Careggi assistito al suo capezzale da Girolamo Savonarola.
Il successore di Lorenzo, suo figlio, Piero si dimostrò inadeguato al ruolo.
Nel 1494 ci fu l’ episodio che decretò la fine del governo di Piero sulla città di Firenze.
Carlo VIII di Francia decise di far valere i suoi diritti successori sul Regno di Napoli e si avviò a discendere la Penisola.
Carlo VIII chiese a Piero di poter passare per la Toscana mirando a lasciarvi una retroguardia che garantisse le comunicazioni al Sud.
Piero addirittura concesse al sovrano francese più di quanto chiedesse; cedette infatti le fortezze di Sarzanello, di Sarzana e di Pietrasanta e le città di Pisa e Livorno.
A quel punto la voce di Girolamo tuonò in ogni contrada, quel gesto fu la scintilla della rivolta popolare esplosa nell’indignata Firenze.
Piero fu cacciato da Firenze e venne proclamata la Repubblica con l’instaurazione di un regime demo-teocratico il cui vero arbitro era il Savonarola.
Il frate vagheggiò una forma di stato perfetto in cui i valori cristiani avrebbero costituito il fondamento delle leggi che dovevano reggere la città.
Il domenicano ferrarese iniziò una serie di prediche in cui evidenziò l’analogia tra gli ebrei ed i cittadini di Firenze.
Come gli ebrei per affrancarsi dalla condizione di schiavitù si incamminarono nel deserto sotto la guida di Mosè alla ricerca della Terra promessa così i fiorentini sotto la guida del profeta Savonarola dovevano attuare quel processo di renovatio che doveva dare alla città un solido ed equo governo civile.
Da una parte le concezioni di Savonarola determinarono indubbi benefici per la popolazione con l’effettivo ampliamento della base di partecipazione politica: ricordiamo l’Istituzione del Consiglio maggiore cui potevano partecipare tutti i fiorentini che avessero compiuto 29 anni e che fossero in regola con il pagamento delle imposte.
Dall’altra il fanatismo religioso di Savonarola determinò degli eccessi e la repubblica fiorentina assunse sempre di più le caratteristiche di una teocrazia.

Furono aboliti i canti di carnevale,i giochi d’azzardo, le scommesse, i balli e le corse dei cavalli.
Furono organizzati anche dei Falò delle vanità quali strumenti per combattere il lusso che in realtà si rivelarono un enorme danno per la cultura in quanto vennero bruciati non solo vestiti e preziosi ma anche oggetti d’arte tra i quali perfino quadri del Botticelli.
Inoltre in una città avvezza più allo scontro che alla pacifica convivenza, impregnata di odi e rivalità, Savonarola diede luogo alla nascita di nuove fazioni contrapposte.
Condannando con veemenza i costumi corrotti, il vizio ed il degrado di popolo e signori, si procurò molti sostenitori, ma anche fieri avversari.
Fu così che nacquero in Firenze nuove consorterie: i Frateschi detti poi spregiativamente Piagnoni ( fautori di Savonarola) e i Compagnacci
( giovani gaudenti che irridevano il frate domenicano).
La città sembrava avvolta da una cappa di malinconia e di paura.
Molto rigida fu anche la posizione che il Savonarola assunse nei confronti del Papa.
Nell’agosto 1492 ascese al soglio pontificio Alessandro VI al secolo il cardinale Rodrigo Borgia ( uno dei pontefici più discussi della storia). Savonarola rimproverò ad Alessandro VI i costumi corrotti e l’assoluta dedizione al fasto ed alla ricchezza.
Nel settembre del 1495 il Papa accusò il Savonarola di eresia e di false profezie e gli intimò di sospendere le predicazioni.
Ma Girolamo non si curò dei provvedimenti del pontefice e continuò a lanciare prediche infuocate contro il Papa e contro la Chiesa di Roma. Nell’agosto del 1496 il Papa cercò di riconquistare il frate domenicano offrendogli la nomina a Cardinale a patto che avesse ritrattato le precedenti critiche alla Chiesa e se ne fosse astenuto per il futuro.
Girolamo da par suo rispose all’offerta con una predica pubblica rimasta celebre: ” Non voglio cappelli, non voglio mitrie grandi o piccole, voglio quello che hai dato ai tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, ma di sangue, voglio !”.
Nel giugno 1497 arrivò la scomunica ufficiale del frate domenicano e di tutti i suoi seguaci.
Papa Borgia vedeva in Savonarola un nemico da eliminare per una serie di motivi.
In primo luogo le prediche del Savonarola contro l’indicibile corruzione di Roma avevano come obiettivo principale il pontefice stesso.

Il pontefice inoltre non vedeva di buon occhio il successo del predicatore domenicano testimoniata dalla crescente affluenza di giovani e stranieri in Firenze desiderosi di sentire le parole di salvezza del frate.
Inoltre il Savonarola costituiva un ostacolo per le mire che il pontefice aveva su Firenze.
La città su consiglio del Savonarola si era rifiutata di aderire alla Santa Lega promossa dal Pontefice contro la Francia.
Tanto erano rilevanti gli interessi in gioco che il Pontefice non si limitò a scomunicare il Savonarola ma arrivò anche a minacciare Firenze di interdetto.
Tale misura punitiva non solo avrebbe privato i fedeli dei riti sacri ma avrebbe rischiato di portare all’isolamento la città con gravi danni economici: da quel momento il frate perse l’appoggio della gran parte dei fiorentini.
L’8 aprile 1498 una folla costituita da migliaia di arrabbiati, armati di spade, circondò il convento di San Marco per mettere le mani sul frate. Ne nacque uno scontro che lasciò sul campo ben cento vittime.
Il Savonarola decise allora di consegnarsi alle autorità fiorentine per evitare una carneficina.
Il Savonarola, insieme a due suoi confratelli, fra Domenico da Pescia e fra Silvestro Maruffi, venne imprigionato in Palazzo Vecchio.
Il Papa concesse alle autorità fiorentine uno speciale permesso per processare il frate domenicano a patto che i membri del Tribunale fossero tutti oppositori del Savonarola ed a patto che venisse utilizzata la tortura per estorcere una confessione piena.
Dopo una settimana di supplizio della corda frate Girolamo cedette e ammise tutti i capi di imputazione.
Il 19 maggio 1498 il Papa giudicò colpevole il frate domenicano di eresia e scisma e lo condannò a morte.
Il 23 maggio 1498 Girolamo Savonarola, insieme agli altri due frati, venne prima impiccato poi arso sul rogo in una Piazza della Signoria stracolma di gente.
Le ceneri dei tre frati vennero poi gettate in Arno dal Ponte Vecchio per evitare che venissero sottratte dai seguaci e fatte oggetto di venerazione.
Oggi in Piazza della Signoria vi è una lapide circolare in granito rosso che
ricorda il punto preciso in cui fu impiccato ed arso” frate Hieronimo”. Indubbiamente Savonarola è una figura che suscita una molteplicità di opinioni contrastanti tra loro: c’è chi vede in lui il santo e chi l’eretico.
A mio parere, al di là dei criticabili eccessi imputabili all’intransigenza ed al fanatismo, Savonarola interpretò per primo l’esigenza di una riforma dei costumi del clero in nome di una semplice ed autentica religiosità.
Non a caso la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero eretto a Worms in Germania.
E:.V:. 2012

R.:L.: Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. È lo spirito che la anima.
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