Rinaldo da Concorezzo

RINALDO DA CONCOREZZO: UN GARANTISTA ANTE LITTERAM

Rinaldo nacque a Milano tra il 1240 e il 1250 dalla nobile famiglia dei Da Concoregio.
Frequentò l’Università di Bologna e acquisì fama di giureconsulto in quanto forniva pareri legali.
Nel 1295 ebbe il titolo accademico di magister.
Nella Curia romana divenne prima segretario del cardinale Benedetto Gaetani e poi cappellano di Papa Bonifacio VIII.
Nel 1296 fu eletto vescovo di Ravenna.
Tra il 6 ed il 7 settembre 1303 si verificò l’episodio dello schiaffo di Anagni culmine del conflitto tra Papa Bonifacio VIII e il Re di Francia Filippo il Bello per la supremazia del potere temporale su quello spirituale.
Il Papa venne rinchiuso nel proprio Palazzo di Anagni dagli emissari di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret e Giacomo Sciarra Colonna.
Il Papa dopo due giorni di prigionia venne liberato dai cittadini di Anagni.
Un mese dopo il Papa Bonifacio VIII morì e da quel momento il Re di Francia prese il controllo del papato e trasferì la sede papale ad Avignone.
In questo contesto di perdita di autorità della Chiesa rispetto al potere temporale, esattamente nel 1305, Rinaldo da Concorezzo fu eletto Arcivescovo di Ravenna. Rinaldo da Concorezzo si dedicò soprattutto alla vita pastorale e diede impulso in particolare ad istituti dimenticati come quello delle visite alle parrocchie e quello dei sinodi provinciali.
Le visite alle parrocchie della sua diocesi consentirono al Vescovo di conoscere le esigenze delle comunità locali.
Con i sinodi o concili provinciali il Vescovo avviò una profonda opera riformatrice della Chiesa ravennate.
L’episodio per il quale Rinaldo da Concorezzo viene maggiormente ricordato è la posizione assunta nel processo contro i templari.
Occorre aprire una parentesi più ampia per comprendere appieno la grandezza morale dell’arcivescovo di Ravenna.
L’Ordine dei Cavalieri del Tempio ( creato nel 1118) grazie ai lasciti e alle donazioni e altre forme di liberalità acquisì terre, castelli e casali in gran quantità tali da farlo diventare l’Ordine più potente dell’epoca.
Inoltre gli stessi affiliati, poiché dovevano fare voto di povertà, al momento del loro ingresso donavano all’Ordine ingenti somme di denaro o proprietà.
Così l’Ordine si trovò a gestire enormi somme di denaro.

Questa disponibilità di moneta indusse l’Ordine ad iniziare attività di finanziamento sia verso privati ma soprattutto verso gli Stati.
Fu proprio quest’ultima attività a decretare la fine dell’Ordine.
Il Re di Francia , Filippo IV il Bello, desideroso di azzerare i propri debiti nei confronti dell’Ordine e di impossessarsi del suo patrimonio, rivolse nei confronti dei templari delle accuse infamanti.
In particolare i Templari vennero accusati di sodomia, eresia e idolatria per aver adorato una misteriosa divinità pagana il Bafometto.
In Francia la persecuzione contro i templari iniziò nell’ottobre del 1307.
I templari francesi su ordine del Re vennero arrestati e sottoposti a tortura per estorcene la confessione.
Dopo le prime confessioni degli arrestati Papa Clemente V, con la Bolla Pastoralis Praeminentiae, ordinò a sua volta l’arresto dei templari in tutta la cristianità.
Nel 1308 Papa Clemente V , succube del Re di Francia, promulgò la Bolla Faciens Misericordiam con la quale definì le accuse contro i templari e istituì delle Commissioni per indagare sui cavalieri.
Le commissioni papali istruirono processi contro i templari a Parigi, Brindisi, Chieti e Cipro.
Tutti i processi si celebrarono in un generale clima di condanna.
L’unica eccezione fu rappresentata dalla Commissione istituita a Ravenna nel 1309 e presieduta da Rinaldo Da Concorezzo che si occupò dell’inquisizione contro i templari dell’Italia Settentrionale.
L’inchiesta fu infatti condotta dall’Arcivescovo di Ravenna con criteri di mitezza e senza il fine di impossessarsi dei beni dell’Ordine.
Gli imputati, per volere di Rinaldo da Concorezzo, non furono imprigionati e soprattutto non furono sottoposti a tortura.
Per tale motivi il processo di Ravenna rappresentò la migliore antitesi rispetto ai processi celebrati in Francia.
Rinaldo si oppose alle pressioni del Papa che spingeva all’uso della tortura per estorcere le confessioni degli imputati.
L’arcivescovo di Ravenna che era un garantista ante litteram riteneva che “ debbono essere considerati innocenti coloro per i quali è possibile dimostrare che hanno confessato solo per timore della tortura. E’ innocente anche chi ha ritirato la confessione estorta con la violenza oppure non ha osato ritirarla temendo di essere di nuovo torturato”.
Rinaldo era ben consapevole che le torture applicate dagli inquisitori papali avevano falsato i processi in quanto i templari ammisero ogni tipo di empietà anche quelle mai commesse.
Il processo ravennate si concluse nel giugno del 1311 con la dichiarazione di innocenza di tutti i templari inquisiti.
Questi ultimi, infatti, sottoposti a regolare processo e senza lo spauracchio della tortura, si professarono innocenti.
Papa Clemente V, molto contrariato per il verdetto, si rivolse agli inquisitori dell’Italia Settentrionale con una bolla , chiedendo di rifare i processi e di utilizzare la tortura per indurre gli imputati alla piena confessione.

L’arcivescovo di Pisa ed il vescovo di Firenze che sino ad allora si erano mostrati miti grazie all’esempio di Rinaldo Da Concorezzo obbedirono all’invito papale ed i processi in Toscana contro i Templari ripresero con abbondante uso della tortura. Rinaldo da Concorezzo non si lasciò intimorire dalle pressioni del Pontefice e con fermezza decise di non ripetere il processo.
Poi l’Ordine fu ufficialmente soppresso con la bolla papale “Vox in excelso” del 3 aprile1312.
Il 18 marzo del 1314 l’ultimo gran maestro dell’ordine , Jacques de Molay, per volere di Filippo il Bello fu arso sul rogo davanti alla Cattedrale di Parigi.
Rinaldo da Concorezzo continuò la sua opera di riforma del clero sino alla sua morte avvenuta il 3 agosto 1321.
E’ sepolto in un sarcofago tardo-romano nella Cappella della Vergine del Sudore nella Cattedrale di Ravenna.
Il Vescovo Almerico di Chaluz , suo successore lo volle beato già nell’anno 1326.
Fu un uomo contro il suo tempo , ribelle, garantista, caritatevole, semplicemente un cristiano a tutti gli effetti.
Riflettendo sull’esempio che ci ha lasciato Rinaldo da Concorezzo mi vengono due considerazioni che vorrei offrire a tutti i fratelli:” Al di sopra degli uomini c’è la legge. Al di sopra della legge c’è l’uomo”:
Perchè se è vero che la legge deve regolare la vita degli uomini è anche vero che essa deve essere adattata al caso concreto e non può essere applicata tout court.
Neppure il più saggio dei legislatori può aver previsto in essa ogni singola e distinta situazione in cui si può trovare un uomo.
Rinaldo da Concorezzo decidendo di non utilizzare la tortura nei processi contro i templari contravviene all’Inquisizione papale ma afferma il primato dell’uomo sulla legge.
Altra considerazione che vorrei offrire all’attenzione di tutti i fratelli sta in una analogia che ho riscontrato tra l’esempio di Rinaldo da Concorezzo e l’Antigone di Sofocle ( tragedia del 441 A.C.).
Antigone è la sorella di Eteocle e Polinice.
Eteocle è il successore designato sul trono di Tebe mentre Polinice, escluso dal regno, raduna un esercito per cingere d’assedio la citta.
I due fratelli restano vicendevolmente uccisi in battaglia.
Vengono riservati gli onori funebri solo ad Eteocle mentre viene vietata la sepoltura di Polinice, perchè considerato un traditore.
Antigone, mossa da pietas umana nei confronti di Polinice, decide di contravvenire agli ordini e di dare degna sepoltura al fratello.
Antigone viene punita e viene murata viva per aver violato le leggi della Polis. Antigone viola la legge positiva che vieta la sepoltura del traditore Polinice perchè fa prevalere la legge morale cioè quella dell’anima che impone la pietà umana di fronte ad un cadavere.
Rinaldo da Concorezzo contravvenendo agli ordini del Pontefice e decidendo di non utilizzare la tortura nei processi contro i templari afferma il primato della legge morale su quella positiva.

R.:L.: Resurrezione 144 all’Oriente di Civitanova. È lo spirito che la anima.
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